Famiglia

Cooperazione, un’occasione d’impiego per il non profit

Il ministero del Lavoro indice corsi per creare personale che lavorerà nei Paesi in via di sviluppo. Requisito richiesto: nessun fine di lucro

di Redazione

Gli enti e le associazioni non profit possono presentare al ministero del Lavoro progetti finalizzati alla formazione professionale di personale da destinare ai Paesi in via sviluppo. Tutti i particolari e gli schemi per compilare le domande, contenuti in un comunicato firmato da Tiziano Treu, sono stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale del 10 marzo scorso, serie generale n. 57. La formazione del personale da destinare alla cooperazione allo sviluppo sarà affidata a enti e associazioni che svolgono questa attività a livello nazionale e che non perseguono fini di lucro. Lo stabilisce un comunicato del ministero del Lavoro, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 10 marzo scorso, che promuove e finanzia interventi su tutto il territorio nazionale per formare quanti intendono prestare la loro opera nell?ambito della cooperazione con i Paesi del Terzo mondo. Chi intende presentare un programma dovrà rispettare queste direttive: i corsi non devono superare le 900 ore per la formazione, l?aggiornamento e la riqualificazione degli operatori, le 800 ore per i docenti e le 500 per iniziative professionali di natura innovativa. Ogni progetto non può prevedere più di un corso (al quale dovranno essere iscritte almeno 10 persone) né superare la durata di sei mesi. Saranno autorizzati periodi di formazione più lunghi solo se ne sarà documentata e giustificata la necessità. Infine, i corsi non dovranno costare più di 600 milioni e dovranno essere tenuti in lingua italiana e nella lingua del Paese dove sono destinati i partecipanti. Le domande e i formulari (il cui fac-simile è stato pubblicato in allegato al comunicato) devono arrivare, in busta chiusa, in originale più una copia, al ministero del Lavoro e della previdenza sociale Ucofpl Divisione V, vicolo d’Aste 12 – 00159 Roma, entro le ore 14 del 23 aprile prossimo. Il timbro postale non fa fede. Nominato il commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. Il decreto del presidente della Repubblica è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 10 marzo scorso, serie generale n. 57. C oordinerà tutte le iniziative per la lotta contro l?usura, proporrà agli organismi istituzionali l’adozione delle misure di prevenzione e repressione del fenomeno del racket, potrà coordinare il suo lavoro con quello dell?Unione europea e delle Nazioni unite. Questi i compiti di Gaetano Piccolella, nominato, con un decreto del presidente della Repubblica pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 10 marzo, commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. Nuova medicina per la cura dell?anemia mediterranea all?esame della Commissione unica del farmaco da dieci anni. Perché non è stata ancora messa in commercio? Interrogazione n. 5-03927 rivolta, il 10 marzo scorso, al ministro della Sanità Rosy Bindi da due deputati di Alleanza nazionale. S i chiama «L. 1» o Deferirone. È un preparato che elimina l?eccesso di ferro che si accumula nel sangue degli ammalati di anemia mediterranea (oltre seimila, concentrati soprattutto in Sicilia) in seguito alle continue trasfusioni. Da dieci anni viene sperimentato con successo dalla Commissione unica del farmaco che, però, non ha ancora rilasciato l?autorizzazione per commercializzarlo. L?«L. 1» viene infatti distribuito dalle farmacie ospedaliere solo ai malati che non tollerano il Desferal: farmaco tradizionale per la cura di questa patologia, viene iniettato per microinfusione sottocutanea e la sua somministrazione dura alcune ore. Con un?interrogazione rivolta il 10 marzo scorso al ministro della Sanità Rosy Bindi, Enzo Caruso e Domenico Gramazio di Alleanza nazionale chiedono le ragioni della mancata registrazione e commercializzazione del preparato visti gli ottimi risultati ottenuti nel corso della sperimentazione, la facilità di assunzione (si tratta di compresse), l?accessibilità del costo e, soprattutto, la libertà di movimento che consente ai pazienti, non più costretti all?immobilità richiesta dalle microinfusioni. Camera: Antonio Pizzinato, sottosegretario di Stato per il Lavoro, risponde a tre interrogazioni su lavoro nero e sfruttamento dei minori. Un quadro drammatico sul quale il governo promette di intervenire sia in fase di prevenzione che di controllo. «C i stiamo organizzando, ma per ora sfruttamento dei minori e lavoro nero rimangono una grave piaga nella vita sociale ed economica del Paese». Si può riassumere così la risposta del sottosegretario di Stato per il Lavoro, Antonio Pizzinato (Dsu), a tre interrogazioni. Le interrogazioni sono state presentate rispettivamente il 18 dicembre ?97 da alcuni deputati di Rifondazione comunista, primo firmatario Luca Cangemi (n. 3-01816), il 5 gennaio ?98 da Alberta De Simone di Democratici di sinistra l?Ulivo (n.3-01829) e il 9 marzo ?98 da un gruppo di deputati sempre del Dsu, prima firmataria Antonietta Rizza (n. 3-02030) che, prendendo spunto da recenti fatti di cronaca, sollevavano il problema. Pizzinato ha messo in luce una situazione drammatica: lavoro nero, sfruttamento di minori e del lavoro femminile costituiscono una fetta di mercato superiore al 40 per cento nel Sud. E il dato, sottolinea il sottosegretario, è del tutto empirico dal momento che rilevazioni e indagini sono ancora in corso. Il fenomeno, inoltre, se è vero che è presente soprattutto nel Mezzogiorno, ha una matrice direttamente collegata alle grandi imprese del Nord: spesso le piccole aziende del Sud lavorano su commesse di industrie del settentrione, come nel caso degli stabilimenti tessili della provincia di Catania (oggetto delle interrogazioni), dove nel corso di un blitz dei carabinieri sono stati trovati ben 172 dipendenti in nero su 400, tra cui 15 ragazze minorenni. Proprio questo legame con la grande imprenditoria rende difficile, secondo Pizzinato, far emergere le situazioni di illegalità, a volte protette dalla criminalità organizzata. Altra nota dolente del rapporto stilato da Pizzinato è quella della vigilanza: nel caso di Catania, infatti, sono stati i carabinieri e non gli ispettori del lavoro a denunciare lo stato di illegalità delle due imprese. Gli organici dell?ispettorato del lavoro sono carenti e attendono nuove assunzioni. E per il futuro? Intanto, procedere all?attuazione delle disposizioni previste dal pacchetto Treu (legge 196 del ?97) per incentivare le imprese a uscire da una situazione di illegalità, attraverso contratti di allineamento; riorganizzare e aumentare la vigilanza anche di concerto con organismi internazionali; approntare una concreta azione per fronteggiare il problema della dispersione scolastica, attraverso specifici programmi d?intervento innovativi e studiati sul territorio, come previsto dalla legge 285 del ?97 sulla promozione di diritti e opportunità per infanzia e l?adolescenza. Tutelare i lavoratori che hanno subito le contaminazioni dell?amianto. Questo l?obiettivo di un disegno di legge all?esame della commissione Sanità, in sede referente, presentato nell?aprile dello scorso anno da un gruppo di senatori dell?Ulivo (primo firmatario, Giorgio Sarto). I lavoratori che in passato hanno rischiato di subire le contaminazioni cancerogene dell?amianto, hanno diritto alla sorveglianza sanitaria. Lo prevede un disegno di legge all?esame, in sede referente, della commissione Sanità, presentato nell?aprile dello scorso anno da un gruppo di senatori dell?Ulivo che introduce alcune norme a tutela di chi è stato a lungo a contatto con questa sostanza. Chi può considerarsi a rischio? L?articolo 1 del provvedimento parla chiaro: «Sono coloro che hanno interrotto il rapporto di lavoro con un?impresa nella quale esisteva il rischio di contaminazione da amianto e che hanno lavorato l?amianto (o materiali contenenti amianto) per almeno dieci anni». Se dieci anni sono considerati il tempo ?medio? di esposizione perché nel lavoratore possano insorgere patologie correlate all?amianto, è pur vero che in casi del genere non si possono stabilire regole certe. Per questo motivo il testo affida ai medici delle Unità sanitarie locali dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (Spsal) il compito di garantire la sorveglianza sanitaria a tutti coloro che in passato si sono sottoposti all?amianto e valutare il grado di rischio per ciascuno.


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