Economia

Cooperazione sociale: CGM a convegno

Livia Consolo ha aperto i lavori (un'intervista). Per la prima volta i premi "Impresa sociale" andati a Carlo Borzaga, Sodalitas e settimanale Vita

di Redazione

Intervista a Livia Consolo di Maurizio Regosa Un appuntamento importante, la convention di Montichiari, Brescia, dal 6 all’8 settembre. Un momento per incontrarsi, per confrontarsi e riconoscere il senso dell’oggi: da quali intuizioni, da quale passato nasce il presente del consorzio nazionale Cgm? Quali sono le prossime sfide? Ne parliamo con Livia Consolo, presidente di Cgm. Qual è il giudizio sul cammino fin qui percorso da Cgm? “Abbiamo alle spalle, senza dubbio, un percorso difficoltoso, in cui si è cercato di coniugare il radicamento territoriale con la necessità di agire nelle dinamiche nazionali. È pur sempre il punto nodale, il nesso fra il piccolo e il grande. Parliamo comunque – ed è ovvio che sia così – di un cammino non perfettamente realizzato. Il lavoro fatto dalle organizzazioni di terzo settore come Cgm deve trovare una sua collocazione non solo nelle relazioni istituzionali e nelle attività di servizio, ma anche nella cultura della partecipazione civile. C’è stata una fase in cui la necessità organizzativa ha forse prevalso ed era necessario. Adesso mi sembra si debba dedicare più attenzione alla partecipazione, alla politica, alle nuove forme di cittadinanza. Certo non si può fare tutto, ma ora è importante recuperare la nostra peculiarità, che è essere forza di cambiamento, capace di interpretare le istanze sociali. La stabilità organizzativa è uno strumento, semplicemente questo. Se c’è una realtà all’interno del terzo settore che ha poca capacità di esprimere la propria valenza politica, mi pare che questa sia la cooperazione sociale. Bisogna fare in modo che i valori specifici dell’impresa sociale emergano di più anche all’interno del terzo settore: l’imprenditorialità è un valore di per sé, se rapportato all’obiettivo di migliorare il mondo”. Un appuntamento per riflettere? “Certo, anche. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto: in venti anni abbiamo creato qualcosa che non esisteva. Dal primo gruppo consapevole di cooperative che cominciavano, appunto vent’anni fa, a cedere risorse umane che andavano a lavorare al di fuori del gruppo stesso e a beneficio della comunità, è nata la volontà di creare un sistema di organizzazioni private che hanno saputo preoccuparsi di un territorio, facendo proposte nuove, misurandosi con il reperimento e l’uso di risorse economiche. E tale orgoglio è legato anche al fatto che, al di là dei dati economici, dei posti di lavoro creati (oltre 21.000 al 2000), sono convinta che le cooperative siano state e siano ancora una possibilità di autentica crescita individuale: quanti hanno scoperto, misurandosi e confrontandosi all’interno del mondo cooperativo, il loro punto d’equilibrio? Quanti hanno sperimentato il confronto e compreso che è possibile fare delle scelte non conformiste, non prevedibili e allo stesso tempo ricche di prospettiva? Sono state esperienze che hanno prodotto relazioni personali, storie di condivisione, vere amicizie: c’è stata e c’è ancora molta passione, più visibile nei vissuti personali che nell’immagine di gruppo”. La formula è quella del 2000? “Sì. Dopo le convention di diffusione dei progetti nazionali, dell’affermazione del ruolo di Cgm come agenzia strategica, abbiamo scelto di connaturare sempre più la manifestazione come momento di relazione e scambio fra cooperatori di tutta Italia, che possono così confrontare le loro problematiche e, se sono giovani cooperatori, conoscere le scelte del passato. Una convention può servire “solo” a far sentire i cooperatori parti integranti di un grande mondo che, mescolato con il volontariato, l’associazionismo e le varie forme di partecipazione dei cittadini, contribuisce a elevare la qualità delle relazioni nelle nostre comunità locali”. Qual è lo stato d’animo con cui affronti la convention? “Da una parte ci sono stanchezza e fatica per il lavoro organizzativo dato che non viviamo la convention come un evento convegnistico da terziarizzare ad agenzie specializzate, ma lo impostiamo, organizziamo e gestiamo completamente con le nostre forze. D’altra parte ci sono molto entusiasmo e tanta attesa per un momento significativo: “sciogliersi” dentro una comunità molto grande, fatta da persone molto diverse ma che si riconoscono in valori di fondo. Personalmente vivo la convention come un momento di identità, con lo stesso entusiasmo con cui partecipavo alle manifestazioni, agli eventi collettivi, che nel periodo della mia giovinezza erano più numerosi di adesso. C’è un altro aspetto, che curo con attenzione, ed è l’immagine di noi che diamo agli altri: la convention è anche un po’ vetrina, e quindi fa conoscere agli “extra rete”, quello che facciamo e sappiamo fare”. Cosa ti aspetti dalla convention bresciana? “Mi auguro che il territorio bresciano e lombardo in genere, le istituzioni, le organizzazioni sociali riconoscano la peculiarità, l’originalità del fenomeno della cooperazione sociale come un portato della cultura lombarda che ha via via assunto connotati e dimensioni nazionali. Si parla sempre dell’imprenditività bresciana: vorrei che i lombardi, i bresciani in modo particolare, sapessero riconoscersi anche attraverso la cooperazione sociale nella loro antica tradizione di persone che lavorano non tanto e solo per sé ma per la collettività. Una specie di religiosità laica che si esprime attraverso la concretezza nella convinzione che la continuità nel tempo delle cose vere, che contano, nasce dal lavoro di tutti i giorni”.


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