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Cooperazione, serve una nuova strategia

«È giunta l'ora di cancellare parole come “aiuto”, “sviluppo” “Sud del mondo”, “Terzo Mondo”. Tutto è cambiato, bisogna cambiare marcia». Intervento di Vincenzo Pira

di Vincenzo Pira

In vista del Forum  dell'1-2 ottobre, Vita lancia online il dibattito sul futuro della cooperazione internazionale. Riceviamo – e volentieri pubblichiamo – il primo intervento.

La cooperazione internazionale per l’Italia, negli ultimi vent’anni è vissuta più su promesse non mantenute che su strategie e pratiche coerenti.

L’istituzione di un Ministero per la cooperazione internazionale (senza portafoglio) affidato al fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi,  ha riposto il problema del funzionamento di questo settore e aperto un contenzioso, neanche troppo nascosto, tra la nuova struttura e il Ministero degli esteri che ha (malgestito) nei decenni scorsi la cooperazione internazionale allo sviluppo. Il primo ottobre si realizzerà a Milano il Forum Nazionale  sulla Cooperazione Internazionale dell’Italia  e si discuteranno varie questioni inerenti il settore.  Si auspica che dalle parole si passi alle decisioni coerenti conseguenti  e non si continui unicamente a fare interpretazioni invece che trasformazioni, ormai indispensabili.

Sintetizzo a seguire alcuni problemi  fondamentali :

1.    Il sistema Italia nella cooperazione europea e multilaterale

Il DAC / OCSE, all’inizio del 2010, ha inviato un documento che traccia un quadro critico della cooperazione italiana. Rileva che non esiste ancora un ampio consenso politico su come arrivare ad una riforma della Legge n. 49/87, nonostante i diversi tentativi fatti nelle precedenti legislature e l’unanime consenso di tale necessità. Si nota che l’Italia mancherà di molto l’obiettivo europeo per il 2012 per risorse destinate allo sviluppo, lo 0,56% del PIL.
La raccomandazione è quella di presentare un piano d’incrementi di lungo periodo che consentirà all’Italia di avere un programma di cooperazione credibile.

Lo scarso investimento politico-finanziario e l’inadeguatezza della normativa contribuiscono a spiegare anche altre carenze messe in evidenza dal documento del DAC:

•    l’assenza di una visione strategica d’insieme e di valutazioni sistematiche per i programmi di cooperazione allo sviluppo dal 2002;
•    l’insufficiente coordinamento tra Ministero degli Affari esteri, Ministero dell’Economia, Ministero dell’Ambiente, dipartimento della Protezione civile e amministrazioni locali per le iniziative di cooperazione allo sviluppo;
•    la progressiva riduzione del personale tecnico per la cooperazione allo sviluppo;
•    una programmazione geografica  non attuata, con l’Africa Sub-sahariana che vede ridurre progressivamente la quota d’aiuto italiano nonostante sia regione prioritaria dal 2005;
•    nessun progresso sulla questione della coerenza delle politiche tra le relazioni esterne dell’Italia e gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo;
•    la maggior parte delle misure non realizzate sono a “costo zero”, ma lo scarso investimento finanziario ha un peso. È il segnale del disinteresse della classe politica e del progressivo smantellamento della struttura della cooperazione allo sviluppo, che non trova ragioni e motivazioni per riformarsi profondamente dal suo interno ma procede per inerzia, a vista.



Il Dac prescrive una cura completa di riforme da somministrare nell’arco di quattro anni, ma non fa i conti con il fatto che le nuove sedici raccomandazioni possano restare non attuate come quelle del 2004 per negligenza e per oggettiva difficoltà di una struttura indebolita.

La lista di raccomandazioni da realizzare nel primo anno si riduce a quattro:

1)    incrementare progressivamente l’investimento finanziario;
2)    riavviare il dibattito parlamentare sulla riforma legislativa;
3)    eliminare le incoerenze;
4)    realizzare valutazioni d’impatto.

A prescindere da tutti gli altri temi da affrontare Rispettare tali indicazioni  è l’unico modo per poter continuare ad esistere una cooperazione internazionale pubblica dell’Italia.


2.    Indispensabile una nuova legge organica che superi e aggiorni la N. 49 del 1987.

La Commissione permanente del Senato – Affari Esteri, Emigrazione, ha unificato diverse proposte presentate in un unico testo che verrà adottato per il seguito dei lavori parlamentari. Sono Relatori di tali disegni di legge i senatori Alfredo Mantica (PDL) e Giorgio Tonini (PD).
Il Comitato ristretto della Commissione  ha svolto  audizioni di tutti i soggetti a vario titolo interessati nell'attività di cooperazione allo sviluppo, tra i quali in particolare i rappresentanti delle organizzazioni non governative, Confindustria, le Banche di credito cooperativo, Microcredito, sindacati, rappresentanti delle autonomie locali e i soggetti istituzionali (Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri e Direzione generale dei rapporti finanziari internazionali del Ministero dell'economia e delle finanze).Vi è un tentativo da parte di alcuni parlamentari di proporre  e approvare una nuova legge in questa legislatura.

I nodi principali sono i seguenti :

•    Dove collocare la regia politica e gestionale degli interventi di cooperazione ?

La legge 49/87 prevede che la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo sia nel Ministero degli Esteri a cui compete il coordinamento del settore.  
La non applicazione piena di quanto previsto inizialmente dalla Legge, i continui tagli alle risorse, casi di corruzione, hanno portato a un fallimento di tale gestione e a un spezzettamento delle competenze.
Negli anni 1993 – 94 il ministro degli esteri dell’epoca, Beniamino Andreatta, arrivò alla conclusione che a causa dei continui scandali era meglio azzerare la cooperazione bilaterale e puntare unicamente a quella multilaterale affidando alle Nazioni Unite e all’Unione Europea  risorse e responsabilità che l’Italia non era capace di gestire.
Ciò ha portato a una crisi del sistema Italia nella cooperazione internazionale, a uno svuotamento del ruolo del Ministero degli Esteri e un nuovo protagonismo soprattutto del Ministero del Tesoro (oggi Economia) che gestisce la maggior parte delle risorse e dei rapporti internazionali nel settore.  

Operativamente si è  privilegiata la “finanziarizzazione” della cooperazione, privilegiando  i rapporti con  le banche per lo sviluppo, con Banca Mondiale,  FMI e WTO.

In questo contesto anche altri ministeri (Interni, giustizia, ambiente, difesa), la protezione civile e enti locali (cooperazione decentrata) aumentano le loro relazioni internazionali e gli interventi di cooperazione, ognuno per proprio conto, senza una regia generale e guardando unicamente a obiettivi specifici mai a strategie generali condivise in un sistema organico (multilaterale, europeo e tanto meno in un sistema Italia).

Per questo in tanti difendono la scelta di un ministero di coordinamento che dipenda direttamente dalla Presidenza del Consiglio.

La proposta di riforma legislativa in discussione al Senato (Tonini /Mantica) propone che  “la responsabilità della politica di cooperazione allo sviluppo, al fine di assicurare l'unitarietà e il coordinamento di tutte le iniziative di cooperazione nazionali, spetta al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il quale ne stabilisce gli indirizzi nell'ambito delle linee di politica estera” .
“Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nomina un sottosegretario per gli affari esteri responsabile dell'attività di cooperazione allo sviluppo al quale sono attribuiti il titolo e le prerogative di vice-ministro della cooperazione allo sviluppo” (Art.13).

Salva la necessità fondamentale di coerenza, unitarietà e di regia unica per la cooperazione (che resta l’obiettivo prioritario) personalmente concordo con la posizione che sia importante continuare a difendere il principio che la cooperazione deve essere parte integrante della politica estera italiana. Parte integrante non significa strumento. Vuol dire difendere un ruolo importante degli attori di cooperazione nel pretendere coerenza tra la solidarietà e le altre scelte politiche. Significa non ridursi a un ruolo marginale fatto di elemosine che non incidono sulle cause.

Solo come parte integrante di una politica estera e di relazioni internazionale complessive la cooperazione internazionale può avere un ruolo rilevante.

E’ tempo di attualizzare i paradigmi, i concetti e le parole che si usano e tradurre ciò in scelte e pratiche conseguenti.

Il fallimento della strategia assistenziale obbliga alla cancellazione (o a un uso più limitato e meglio definito)  delle parole “aiuto”, “sviluppo” o alle definizioni territoriali di “Sud del mondo”, “Terzo Mondo”, ecc. che fanno parte di un epoca che non esiste più e che solo l’accidia intellettuale e il dilettantismo di tanti  ne impone ancora una ampio e scellerato uso nei mezzi di comunicazione sociale.

•    La Legge 49/87 non è mai stata applicata pienamente  ed oggi è indispensabile il suo superamento.

Nella proposta di Legge Tonini/Mantica  si definisce una diversità di funzioni tra :
 
•    Supervisione e controllo politico che spetta al  Parlamento
•    Indirizzo e controllo  operativo che spetta al  Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale
•    Gestione operativa affidata a una Agenzia esterna di diritto pubblico.
In passato l’incapacità di trovare una mediazione alta possibile tra i diversi interessi ha portato al blocco e allo svuotamento quasi totale del settore  e sono rimaste solo macerie e poco altro.

La politica non ritiene prioritario il tema e lo affida a un confronto marginale e di poco rilievo istituzionale.

In Parlamento pochi deputati e senatori se ne occupano occasionalmente  senza essere riusciti ad ottenere il risultato di una nuova normativa di orientamento subendo le decisioni prese dall’Unione Europea (e dall’OCSE) e assumendo in parte gli obiettivi  del Millennio delle Nazioni Unite per la propaganda.

Il risultato è che oggi ci troviamo senza risorse disponibili (la cooperazione bilaterale pubblica è azzerata) , le Unità Tecniche (Centrale e Locali) svuotate di personale e di competenze; i diplomatici sotto attacco e chiamati a un ruolo di rappresentanza nelle istanze multilaterali da posizioni di debolezza e senza potere contrattuale.

Un rilancio positivo della cooperazione internazionale passa per alcune decisioni strategiche che devono essere assunte da tutti i soggetti coinvolti:

•    Concepire prioritariamente la cooperazione come processo sistematico e coerente per la globalizzazione dei diritti umani e lo sviluppo umano sostenibile.
•    Riconoscere nelle Nazioni Unite rinnovate il punto di riferimento per il coordinamento sistematico, operativo e per lo spazio di confronto in cui rafforzare il multilateralismo democratico. Il sistema ONU deve diventare il  fiduciario di tutte le entità governative e delle società civili planetarie per il governo globale, la prevenzione dei conflitti, la concertazione e partecipazione che devono caratterizzare la buona cooperazione.
•    Superare la frammentarietà e il progettismo per realizzare programmi strategici in accordo agli obiettivi proclamati nella Dichiarazione del Millennio, aggiornandoli criticamente sulla base delle esperienze fatte.
•    Mantenere gli impegni assunti per destinare le risorse necessarie per la lotta alla povertà e lo sviluppo umano globale: destinare a tali attività almeno lo 0,7 % del PIL dei paesi ricchi.
•    Favorire le azioni capillare e locali, coinvolgendo direttamente le comunità locali come protagoniste principali per la promozione della Cooperazione Decentrata e i partenariati territoriali.
•    Assumere le indicazioni date nella valutazione fatta dall’OCSE .
•    Riconoscere la molteplicità degli attori nel settore della cooperazione internazionale costituendo un sistema Italia capace di confrontarsi con l’Europa e con il mondo.
•    Il passaggio da una visione di sviluppo meramente quantitativo (l’aumento delle ricchezze porterà benessere a tutti) a una visione qualitativa (rispetto dei diritti umani e sviluppo umano sostenibile).

*Armadilla Onlus
 


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