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Cooperazione, Riccardi risponde alle ong

Parte oggi a Milano il Forum sulla cooperazione internazionale. Il ministro Riccardi anticipa a Vita.it le sue idee. Le sue priorità? Portare le ong a ricollegarsi col territorio e liberare strumenti finanziari innovativi

di Stefano Arduini

Le ong hanno posto le questioni, il ministro ha dato le sue risposte. Una formula semplice ma molto partecipata, che ha animato il nostro portale nei giorni che hanno preceduto l’avvio del Forum della cooperazione internazionale, che si apre oggi a Milano. Tanto che Andrea Riccardi ha voluto rispondere direttamente ai cooperanti prima ancora dell’avvio ufficiale dei lavori del summit. Cipsi, Intervita, Cesvi, Terre des hommes, Armadillo onlus, Action Aid, Oxfam e Coopi hanno messo con competenza e ampiezza di argomentazioni sul tavoli i nodi da sciogliere. Palla dunque al ministro.

Partiamo dalla questione dei Fondi. Le risorse per la cooperazione internazionale sono ridotte al lumicino (tanto che l'Italia questa estate è persino uscita dal Fondo per la lotta all'aids). Quali nuovi strumenti si possono mettere in campo in questo senso? La tassazione delle rendite finanziare potrebbe essere una strada percorribile?

Il reinvestimento deve essere sostenuto dal bilancio generale dello Stato, e la riqualificazione della spesa può liberare nuove risorse. Attualmente le risorse stanziate sulla base di decisioni parlamentari ammontano ad appena 0,01% del bilancio delle Stato. Il Documento di Economia e Finanza, che Governo e Parlamento hanno licenziato ad aprile indica alcuni percorsi: aumento del 10 per cento degli stanziamenti legge 49/87 (prendendo come anno base il 2011), e un miliardo per Banche e Fondi di sviluppo nel prossimo triennio. Per aumentare gli investimenti di cooperazione non possiamo accrescere la pressione fiscale e creare imposte di scopo regressive. Meccanismi finanziari innovativi possono essere utili se sono rispettate alcune condizioni: si correggono esternalità negative, si garantisce un gettito consistente e stabile rispetto ai costi amministrativi, si crea un effetto di leva catalizzando anche risorse private.
 
Dal suo punto di vista in che senso andrebbe riformata la legge 49 e quali tempi dobbiamo aspettarci per una sua revisione?

Dobbiamo garantire un’innovazione istituzionale significativa che non si limiti solo a gestire l’aiuto pubblico allo sviluppo nella vecchia accezione, ma che integri i nuovi attori. Le ragioni della cooperazione devono essere garantite e difese da una figura istituzionale che in maniera esclusiva la tuteli in Consiglio dei Ministri. I quindici anni di discussione senza risultati sulla riforma della disciplina possono aver creato in noi il desiderio di una rapida conclusione dell’iter di riforma. Dobbiamo però evitare di fare le cose in fretta. C’è una novità di cui tener conto: la figura del Ministro della Cooperazione Internazionale. Ripartiamo da qui.

L'Ocse ha recentemente tirato le orecchie all'Italia per l'assenza di una visione strategica in materia di cooperazione allo sviluppo. Come si sente di replicare? Ritiene che la creazione di un'agenzia ad hoc possa essere una soluzione operativa? Perché?

Il richiamo dell’OCSE è del 2009 e da allora la Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo e la Direzione Rapporti Finanziari Internazionali del Ministero dell’Economia e Finanze hanno promosso la messa in rete degli attori di cooperazione internazionale, costituendo il Tavolo interistituzionale per la cooperazione allo sviluppo, che attualmente presiedo. Si tratta di una prima consultazione interistituzionale.
I dieci gruppi preparatori al Forum, che hanno visto il coinvolgimento attivo di più di 300 persone, hanno spinto la riflessione più avanti in termini di operatività. Le raccomandazioni da loro proposte sono un patrimonio chiaro e condiviso tra attori dalle provenienze e dagli interessi apparentemente divergenti: le amministrazioni centrali, gli enti territoriali e locali, il mondo dell’impresa, quello sindacale, le ONG idonee, le associazioni di migranti e le Onlus. Mi sono reso conto che c’è una frammentazione ereditata dal passato, ma la crisi ha aumentato la disponibilità a cooperare per fondare una visione condivisa. Da un punto di vista di architettura istituzionale, una visione e approcci strategici condivisi possono essere garantiti da organismi interministeriali o interisitituzionali, presieduti dalla figura di un Ministro dedicato. Un’agenzia può essere un elemento importante nella fase di messa in opera.
 
Dal punto di vista politico l'assetto di oggi, un ministero senza portafoglio e una direzione incardinata al ministero degli esteri, genera confusione. Potendo scegliere come supererebbe questa duplicazione?

Non c’è tutta questa confusione che lei vede. La direttiva del Presidente del Consiglio del 6 aprile scorso stabilisce chiaramente il rapporto con la Direzione  generale per la cooperazione allo sviluppo, di cui mi avvalgo. Con la DGCS abbiamo individuato un modus operandi che si è affinato, ed è molto collaborativo, in particolare in questa fase di reperimento di risorse e programmazione. Ne è recente prova la firma dell’accordo di cooperazione con il Burkina Faso per la riapertura della cooperazione italiana, che è stato negoziato dalla DGCS.

Secondo la sua opinione come dovranno cambiare le ong a livello di governance e struttura nei prossimi anni per continuare ad avere un ruolo nello scacchiere internazionale?

Le ONG italiane stanno trovando dinamiche aggregative che puntino a creare punti di vista comuni senza cancellare le diversità. Stanno riallacciando i rapporti con l’Europa e le reti europee. La presidenza di turno italiana dell’UE nel 2014 sarà un momento importante anche per le ONG. Esiste una cooperazione “popolare” che va oltre le ONG idonee, penso alle 1.400 Onlus censite che fanno solidarietà internazionale. La maggiore sfida per le ONG, come per la politica, è ricollegarsi col territorio, spiegando la complessità del cambiamento ma anche i successi della cooperazione. Non ultimo, il ringiovanimento dei quadri dirigenti.

Quali sono le aree del mondo in cui concentrare nei prossimi anni la progettazione della nostra cooperazione allo sviluppo?

Un gruppo preparatorio del Forum ha lavorato e si è interrogato molto sul “dove stare?”. Pur nella diversità delle estrazioni dei componenti è emerso che il Mediterraneo e l’Africa sub-sahariana sono aree ineludibili per la cooperazione italiana. Vorrei sottolineare in particolare la cooperazione verso il Sahel, che è ormai la nostra nuova frontiera tenuto conto dei rivolgimenti dei paesi mediterranei e della situazione di sicurezza e fragilità di tutta l’area. A queste zone geograficamente identificabili si aggiungono anche i paesi con cui abbiamo legami tradizionali, senza trascurare la risposta alle emergenze umanitarie e ai conflitti, la protezione delle minoranze, le democrazie fragili e i paesi di adozione internazionale. Dovremmo poi individuare per ogni area le eccellenze e i punti di forza dell’azione italiana da mettere a disposizione. Mi sembrano indicazioni utili per la redazione della nuova programmazione 2013-2015, dove bisognerà stabilire le priorità, anche dolorose, ma necessarie.
 

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