Mondo

Cooperazione allo sviluppo, numeri impietosi

Con Roberto Sensi, Policy Advisor Global Inequality di ActionAid, dietro le cifre che raccontano non solo la riduzione dell’impegno del nostro Paese, ma anche la mancanza di una visione e di una strategia

di Antonietta Nembri

Lo stato della cooperazione italiana allo sviluppo è al palo. Lo hanno denunciato con forza le rappresentanze delle ong e il Forum Nazionale del Terzo Settore (vedi news). Con Roberto Sensi, Policy Advisor Global Inequality di ActionAid, abbiamo provato a entrare nei numeri impietosi dell’impegno italiano partendo dall’analisi dei fondi per la cooperazione allo sviluppo che l’ong ha realizzato partendo dalla legge di bilancio 2020 (tabella qui sotto).

Con un'avvertenza: «Anche se le regole Oecd-Dac permettono di conteggiare parte delle spese per Idrc (In Donor Refugees costs) ovvero quanto viene speso per l’accoglienza dei migranti, per noi questi fondi non sono conteggiabili come aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) in quanto sono soldi che vengono spesi in Italia e per uno scopo diverso», premette Sensi che rimarca come a guardare i dati si registri una «riduzione dei contributi che noi cerchiamo di analizzare al netto dell’Idrc». Riduzione che è certificata anche dal rapporto tra Aps e reddito nazionale lordo che dopo aver raggiunto lo 0,30% nel 2017 è sceso allo 0,25% contro un impegno dei Paesi Oecd-Dac di raggiungere lo 0,7%


I numeri raccontano di un’Italia che privilegia l’aiuto multilaterale mantenendo costatanti i fondi destinati alle agenzie internazionali (dall’Oim, al Wfp alla Fao, per esempio) e che lascia al palo l’Aps bilaterale. Osserva Sensi «privilegiando il canale multilaterale il nostro Paese risponde a obiettivi strategici condivisi, ma è con il bilaterale che si danno degli indirizzi». Ed è la capacità di indirizzo quella che sembra mancare. Certo nel decreto mille proroghe si sono trovati 4 milioni in più per la struttura dell’Aics, l’agenzia italiana alla cooperazione allo sviluppo «l’unico aspetto positivo è che si è finalmente pensato di dotare l’agenzia di personale».

Nell’analisi realizzata da ActionAid si sottolinea molto il fatto che “non si investe né nella crescita della capacità di spesa né sul funzionamento degli organi deputati a garantire una governance efficace e un’adeguata visione strategica. A cinque anni dalla riforma della disciplina in materia di cooperazione allo sviluppo contenuta nella Legge 125/2014, la mancanza di volontà politica ha impedito un pieno dispiegamento del potenziale positivo contenuto nella riforma, bloccando la necessaria transizione del sistema di cooperazione allo sviluppo verso una maggiore capacità di definizione strategica ed efficacia degli interventi”.
Per Sensi, inoltre, da analizzare accanto ai fondi ci sono «la qualità della spesa e la capacità strategica perché dietro ai numeri c’è una crisi strutturale e il nuovo sistema non è ancora a regime». Un esempio? «L’Italia dovrebbe dotarsi di un documento triennale di indirizzo che dovrebbe essere fatto ogni anno, bene, da due anni non viene approvato. Inoltre il comitato interministeriale non si riunisce, dovrebbe essere la cabina di regia. E questo dimostra come la cooperazione allo sviluppo non sia considerata una priorità, manca una volontà politica».

Inoltre, ricorda Sensi, a fronte di risorse che non crescono, dell’assenza di volontà politica e di indirizzo strategico fanno sì che il risultato sia «un aiuto frammentato». L’Italia, del resto, tra i Paesi del G7 è ultima per impegni nella cooperazione internazionale allo sviluppo (l’analisi nasce dal documento realizzato lo scorso anno qui )

«Manca una visione. Se io ho pochi fondi da investire l’unico modo perché il mio intervento sia incisivo è quello di concentrarmi su un settore. Per esempio come Paese uno dei nostri valori aggiunti riguarda l’agricoltura e la sicurezza alimentare. Ed è qui per esempio che si potrebbe incidere nella cooperazione bilaterale. Ma serve una visione strategica» conclude Sensi.

In apertura immagine di Céline Martin from Pixabay

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