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Cooperazione allo sviluppo: il nodo della sicurezza è ancora da sciogliere

Esistono realtà che devono approfondire maggiormente la cultura della gestione del rischio. Ed esistono gruppi di volontariato e talvolta singoli volontari che, pur nella positività delle loro azioni e nella generosità e fratellanza che esprimono, possono mettersi inavvertitamente e mettere altri in situazioni di rischio eccessivo se non sono inseriti o collegati ad un’organizzazione preparata

di Nino Sergi

Silvia è ritornata a casa. Una grande soddisfazione. Grazie all’Aise e all’Unità di Crisi del Maeci per il lavoro costante, discreto ed efficace.

Purtroppo, lo spettacolo tragicomico è iniziato. Come dopo ogni sequestro che riguarda in particolare donne. Si sta dicendo tutto e il contrario di tutto, indifferentemente, pur di denigrare, diffamare, deridere, negando il doveroso rispetto che si deve alla persona, alle sue scelte ed alla tragedia che ha vissuto e che l’ha segnata. Questo circo l’abbiamo già visto e si ripete ogni volta quasi con le stesse modalità. È inutile contrapporsi. “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” (Inferno, 3, 51).

Ci sono però temi che meritano di essere approfonditi. Avrei voluto aspettare a farlo, per limitarmi a gioire del ritorno di Silvia, divenuta figlia, sorella di tanti, ma quello relativo alla sicurezza delle persone è uscito nel dibattito mediatico ed essendo un tema serio esige qualche riflessione.

L’azione delle Ong e delle varie associazioni solidaristiche (in foto donne africane inserite in un progetto di Amref) si svolge in contesti dove centinaia di migliaia di bambini, anziani, donne, uomini cercano aiuto e tutela della propria dignità umana. Si tratta di una presenza che talvolta incontra dei rischi e talvolta ne rimane vittima. Non possiamo purtroppo escluderli. Ma possiamo e dobbiamo mettere in atto tutto quanto è nelle nostre possibilità per governarli, con una crescente attenzione e assunzione di responsabilità. Molte organizzazioni l’hanno fatto, si sono da tempo strutturate e si sono dotate di persone specializzate in materia e di rigorosi codici di sicurezza che vincolano l’attività del personale e puntano a gestire e minimizzare i rischi. Si sono “burocratizzate”, “troppo professionismo”, “hanno perso il loro slancio”, qualcuno ha inizialmente lamentato. Mentre invece strutturarsi, professionalizzarsi e mettere in atto accurati protocolli e procedure, formando il personale, è stato un dovere. Per affrontare i rischi, anche per il personale e i partner locali, e per essere più efficaci.

Il 9 settembre 2015 le tre reti delle Ong e Osc (organizzazioni della società civile) AOI, CINI, LINK 2007 hanno promosso con l’allora Ministro Gentiloni e l’Unità di Crisi del Maeci una conferenza dal significativo titolo “La sicurezza è una cosa seria per lanciare un forte segnale e fornire indicazioni per la sicurezza degli operatori impegnati nella cooperazione internazionale, nelle emergenze umanitarie, nella solidarietà internazionale. Si intendeva favorire una sensibilità culturale diffusa, tale da scoraggiare iniziative basate unicamente sulla ‘solidarietà del cuore’ senza tener adeguatamente conto delle difficoltà che la sola generosità può creare, per sé e per altri, se non è inquadrata in un rapporto definito con i partner, inserita in un contesto regolato e vissuta con l’indispensabile professionalità. Ricchi di un’esperienza pluridecennale, le Ong hanno voluto cioè enfatizzare l’etica della responsabilità rispetto alle conseguenze delle proprie scelte e la necessità di una specifica preparazione sul tema della sicurezza.

A guidare le Ong e Osc di cooperazione internazionale è il senso e il valore dell’essere umano, della solidarietà, dell’imperativo umanitario. Umanità, solidarietà, presenza, fratellanza, dialogo, cooperazione sono e devono continuare ad essere pilastri della loro azione. Finché esse, con i loro operatori e operatrici, riusciranno ad esprimere in azioni concrete tali valori, anche la società italiana nel suo complesso ne trarrà beneficio. Occorre anche, però, riuscire a trovare l’indispensabile equilibrio tra la spinta solidaristica e la valutazione del rischio per gli operatori, italiani, locali e internazionali.

La maggiore strutturazione, la formazione, la conoscenza del contesto e l’osservanza dei protocolli non possono da soli assicurare l’incolumità ma sono i più validi strumenti per garantire la sicurezza del personale e produrre buoni risultati. Esistono Osc che devono approfondire maggiormente la cultura della gestione del rischio. Ed esistono gruppi di volontariato e talvolta singoli volontari che, pur nella positività delle loro azioni e nella generosità e fratellanza che esprimono, possono mettersi inavvertitamente e mettere altri in situazioni di rischio eccessivo se non sono inseriti o collegati ad un’organizzazione preparata od ad una realtà consolidata nel paese, quali missioni, istituzioni pubbliche, istituzioni scolastiche, sistemi produttivi.

La conoscenza del territorio, delle comunità e delle dinamiche locali sono indispensabili per gli interventi di cooperazione e per il rafforzamento dei partenariati. Lo sono anche per riuscire a risolvere più facilmente e più rapidamente gli eventuali problemi che possono sorgere, anche in relazione al personale ed alla sicurezza. La solidarietà e la generosità rimangono indispensabili; ma non da sole.

A cinque anni da quel settembre 2015 si sente l’esigenza di un nuovo momento di approfondimento sull’etica della responsabilità nella cooperazione allo sviluppo e di nuove modalità comunicative per diffonderla nel più ampio mondo della solidarietà internazionale.


*fondatore di INTERSOS e Policy Advisor di LINK 2007

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