Economia

Cooperative, banche e Confindustria. I nuovi alleati dell’Agenzia nazionale

di Redazione

Non era ancora nata e già il ministro Maroni parlava di rivoluzione nella gestione dei beni confiscati. Dopo un anno di attività dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, una piccola, ma significativa svolta in effetti si è già verificata. «Rispetto al passato l’Agenzia ha da subito puntato sulla strategia del networking», spiega Davide Pati di Libera, «fin da subito Morcone ha interloquito con il terzo settore, il mondo bancario e con le varie associazioni di categoria».
In questa direzione va ad esempio la recente firma del protocollo d’intesa con l’associazione nazionale dei commercialisti, finalizzata alla soluzione delle problematiche relative alla gestione dei beni nella fase del sequestro. Un’iniziativa che si affianca all’istituzione, dopo anni, di un vero e proprio albo per gli amministratori giudiziari, finora scelti arbitrariamente dai giudici. Ma decisamente più tangibili sono i risultati dell’attività di coordinamento e responsabilizzazione degli amministratori locali. La proliferazione di bandi di finanziamento per progetti di ristrutturazione e riutilizzo dei beni ha permesso all’Agenzia di smuovere in soli otto mesi oltre 12 milioni di euro, più di un terzo del totale erogato dal 2008. Un trend che ha spinto anche la Fondazione per il Sud a stanziare 3,5 milioni di euro per finanziare 11 progetti sui beni confiscati. Un primo passo verso una futura collaborazione? «Data la sua forte flessibilità e autonomia, nel futuro l’Agenzia potrebbe sicuramente facilitare il rapporto tra i vari soggetti di erogazione finanziaria e beneficiari profit e non profit», risponde il presidente della fondazione, Carlo Borgomeo. Ed è proprio la strategia di networking che l’Agenzia sta utilizzando per dare un segnale di vera discontinuità rispetto al passato.
Oggi, delle 1.377 aziende sottratte alla criminalità organizzata circa la metà risulta chiusa o fallita fin dalla fase del sequestro, mentre la restante parte è in fase di liquidazione e in molti casi inattiva. In poche parole, la confisca comporta spesso la scomparsa dell’azienda che, privata dell’appoggio mafioso, è destinata a perdere quote di mercato e inevitabilmente a gettare la spugna. «Per la prima volta si sta affrontando il problema in maniera strutturata, dialogando anche con le nostre realtà cooperative», interviene il presidente di Legacoop, Giuliano Poletti, «l’idea è di salvaguardare il valore e soprattutto i posti di lavoro fin dalla fase di sequestro. In tal senso si proverà a costruire intorno all’azienda una filiera legale e un contesto economico positivo che consenta di ottenere commesse e appalti puliti». In poche parole, l’obiettivo è «impedire che gli ex proprietari collusi possano fare pressioni su clienti e imprenditori per far diminuire artificiosamente le commesse», fa presente Vincenzo Linarello, calabrese e presidente del Consorzio Goel. Che prosegue: «Dobbiamo mettere in campo una rete che prenda in carico l’azienda e le dia un’impostazione solidale e legalitaria tipica dell’impresa sociale». Ma Poletti si spinge oltre: «Abbiamo offerto la disponibilità dei nostri manager anche nella fase di sequestro, così da affiancare competenze imprenditoriali alla semplice gestione giudiziaria, spesso soltanto meramente contabile».
«Il fatto di aver coinvolto le banche, Confindustria e buona parte del mondo dell’imprenditoria sociale ha un valore enorme», afferma Pati, «ora bisogna dare concretezza a questa strategia, anche perché per troppo tempo lo Stato non si è assolutamente curato della questione delle aziende confiscate».
Gli ultimi dati trasmessi dall’Agenzia parlano chiaro. Nonostante a marzo di quest’anno abbia assegnato più di 420 beni immobili – quasi esclusivamente quelli senza criticità per i quali l’Agenzia del Demanio aveva già avviato il processo di destinazione – negli ultimi otto mesi del 2010 il nuovo organismo ha destinato meno della metà del volume (784 beni) assegnato nell’intero anno. Il che vuol dire che nei quattro mesi di transizione prima dell’avvio del nuovo istituto, l’attività di un’Agenzia del Demanio in smobilitazione e dei prefetti ha consentito la destinazione di oltre 100 beni al mese, rispetto ai poco più di 40 della nuova creatura fortemente voluta dal ministro Maroni. Una performance non così positiva, che ha attirato critiche anche da parte del giudice Ingroia, il quale non ha risparmiato la stoccata: «La semplificazione delle procedure che doveva essere introdotta dall’Agenzia Unica non si è mai verificata». A gettare benzina sul fuoco ci si è messa poi anche la Corte dei Conti che, a novembre, ha ribadito come oltre la metà dei beni sia tuttora inutilizzato. Ed è forse questo il tema più sentito dagli addetti ai lavori. «Nonostante lo sforzo, il ruolo dell’Agenzia si ferma alla consegna», spiega Linarello, «così l’ultimo miglio del procedimento, quello del riutilizzo, è lasciato all’arbitrio dei sindaci. Purtroppo il monitoraggio promesso non è mai partito e forse non sarà sufficiente».
Una situazione di stallo che porta Borgomeo a richiamare un tema per molti ancora tabù. «Posto che la destinazione e l’utilizzo devono percorrere principalmente la strada delle finalità sociali, non possiamo permetterci di lasciare abbandonati e inutilizzati migliaia di beni», argomenta. «Credo che la soluzione sia alienare alcuni cespiti che per caratteristiche non risultano destinabili a finalità sociali, così da investire i proventi in attività solidali. In questo senso l’Agenzia nazionale avrebbe le possibilità organizzative di vigilare più concretamente rispetto a prima». Una proposta che non trova tutti d’accordo. Molto guardingo Linarello, per esempio, che dice: «Conosciamo le difficoltà che ci sarebbero nei territori e la capacità della mafia di nascondersi dietro i prestanomi». Più favorevole Pati: «Sarebbe da valutare attentamente fissando paletti certi e trasparenti». Nello specifico Pati propone anche un’altra soluzione. «Oltre il 40% dei beni confiscati sono gravati da ipoteca e tra questi purtroppo anche immobili già destinati. Nonostante gli sforzi di Morcone non può essere che dopo 15 anni dalla legge 109 non si riesca ancora a risolvere il problema. Eppure erano state presentate proposte di legge che andavano in questa direzione. Che fine hanno fatto?».


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