Mondo
Cooperante, professione in movimento
Contratti e carriere: anche per la cooperazione internazionale esiste un mercato del lavoro. Advocacy, Ict e raccolta fondi, le professionalità più richieste. Parlano i responsabili delle Risorse umane di alcune delle organizzazioni impegnate in queste settimane in Ucraina e nei Paesi confinanti, oltre che in Italia. L'inchiesta completa sul numero di Vita magazine di marzo, disponibile anche in formato digitale
C'è uno stereotipo che resiste, ostinatamente, a tutti i mutamenti che hanno attraversato il mondo delle ong negli ultimi anni: per lavorare in questi enti basta padroneggiare le lingue, essere disposti ad andare all’avventura e avere una forte motivazione, elemento che servirà a sopportare le difficoltà in contesti ostili e a superare le scarse retribuzioni. Non c’è nulla di vero. Oggi il mondo delle ong richiede una professionalità non solo estremamente elevata, ma anche molto specifica; la motivazione serve sempre, ma è evidente che da sola non basta.
E, non ultimo, in un mercato caratterizzato da un sostanzioso turnover, le ong offrono, soprattutto a chi ha poca esperienza, stipendi non stratosferici ma certamente più che dignitosi, spesso accompagnati da generose politiche di welfare e prospettive di carriera credibili e solide. Sono proprio questi elementi che drenano e attraggono nuovi talenti e nuove competenze: più tecniche, più manageriali, che non hanno nulla di meno di quelle che servono per mandare avanti, con successo, le aziende profit.
Le ong più illuminate e grandi (in media 70 persone di staff più collaboratori ed espatriati, expat come si dice) puntano su questo per coprire ruoli fino a poco fa inesistenti o marginali, e che oggi, invece appaiano imprescindibili, come quelli che qui raccontiamo: non solo capi progetto, ma anche esperti di comunicazione digitale, fundraising, progettazione e rendicontazione, sviluppo software.
Eppure nel dibatto pubblico si fatica a parlare degli stipendi (benché siano noti attraverso i bilanci sociali) per la paura che i donatori possano storcere il naso sapendo che, nelle grandi ong, circa un terzo del bilancio è destinato al funzionamento della “macchina”, (serve cioè a coprire i costi degli immobili e del personale). Un problema quasi ontologico, identitario, che prima o poi andrà affrontato.
Compensi dei cooperanti all’estero
«Il lavoro del cooperante all’estero è regolato da un contratto di co.co.co. in base ad un accordo siglato con le rappresentanze sindacali e ora in fase di rinegoziazione», spiega Michele Torri, responsabile attività istituzionale di AiBi «Il compenso minimo per un coordinatore di progetto è di circa 2.100 euro lordi al mese, ai quali si aggiungono una serie di benefit, come un’assicurazione sanitaria e un volo di andata e ritorno verso l’Italia una volta l’anno. In presenza di progetti finanziati da donor istituzionali, la nostra retribuzione può raggiungere i 3mila euro lordi».
Tra gli expat c’è un alto ricambio: «La collaborazione degli espatriati con una specifica ong dipende dai progetti e dai fondi a disposizione; quando si esauriscono i fondi in un determinato Paese, gli espatriati possono iniziare una collaborazione in una nazione diversa oppure rimanere nello stesso Paese e avviare una collaborazione con un’altra ong. L’interesse a tornare in Italia nasce solitamente solo dopo avere portato a termine più esperienze all’estero».
Compensi per l’Italia
«Un mito da sfatare è quello che nelle ong si debba guadagnare pochissimo», commenta Chiara Savelli, responsabile Human Resources di Avsi. «Si è sempre creduto che avere una grande motivazione fosse sufficiente per fare questo lavoro e quindi in molte realtà non ci si è preoccupati di assicurare compensi adeguati ai propri dipendenti e collaboratori. Molti erano soliti storcere il naso se qualcuno chiedeva ferie, permessi o policy di life-work balance migliori. Ora la situazione è cambiata. Il lavoro nel non profit è finalmente percepito come un lavoro tout court, la motivazione resta importante, ma la professionalità e le condizioni di lavoro lo sono altrettanto». Soprattutto, aggiunge, «oggi è richiesto un profilo e una competenza maggiore e i compensi devono tenerne conto. Ai dipendenti in Italia applichiamo il contratto nazionale di lavoro “Commercio — Settore del Terziario” e la retribuzione oscilla tra un minimo di 1.450 euro lordi al mese per quattordici mensilità (circa 20mila euro lordi) e un massimo di 3.500 (quasi 50mila l’anno) nel caso di figure quadro (il cui salario riflette spesso anche l’anzianità). Al numero di dipendenti contrattualizzati si aggiunge solitamente un 10% di consulenti a partita iva». Savelli ne fa una questione di coerenza. «Se ci prendiamo cura dei più fragili, non possiamo pensare di non prenderci cura del nostro stesso staff». Per questo in Avsi ci sono diverse policy a supporto dello personale: «Dal welfare ai piani di crescita professionale che tendono a privilegiare chi è già all’interno dell’organizzazione. Inoltre offriamo un servizio di coaching interno e di supporto psicologico-motivazionale».
Advocacy, Meal, fundraiser: figure molto richieste
«Oggi il mondo della cooperazione è altamente professionalizzato», sottolinea Greta Cipriani, responsabile risorse umane di Intersos. «Le tipiche figure cono quelle del capo progetto e del coordinatore Paese, che ha la responsabilità di tutti gli aspetti relativi alla presenza dell’ong su uno specifico territorio e svolge una funzione di coordinamento rispetto all’insieme dei progetti.
Negli ultimi anni sono molto richieste le figure che si occupano di Advocacy, che discutono cioè i bisogni, i finanziamenti e i progetti ai tavoli nazionali e internazionali, e quelle che si occupano di Monitoring evaluation accountability and learning — Meal, che verificano che i progetti svolti portino i risultati attesi e valutano cosa è possibile migliorare per il futuro».
Per quanto riguarda le figure più ricercate in Italia, PER CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI
Nella foto grande, Miriam Ruscio, direttrice programmi regionali Avsi nel sud-est Africa, durante un progetto umanitario
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.