Economia
Coop: un fondo per le azioni delle cooperative
Il testo che segue è integralmente tratto dal sito www.lavoce.info
di Ruggero Paladini, professore di Scienze delle finanze,università Sapienza Roma, e Alessandro Santoro, professore di Politica economica all’università Bicocca di Milano.
Nell?affaire Unipol-Bnl un aspetto secondario che però viene costantemente ricordato è che le cooperative godono di privilegi fiscali: discendono dalla natura “mutualistica” dell?impresa, ma divengono un privilegio non giustificato se le cooperative invadono l?altrui campo. Sembra opportuno qualche chiarimento a questo proposito.
Riforma del diritto societario e riserve indivisibili
Una normale impresa (cioè di tipo capitalistico) si finanzia con capitale proprio e con debiti. Il capitale sociale più le riserve “sono”, per quota parte, degli azionisti delle spa o soci delle srl. Se la società si scioglie il capitale proprio sarà diviso tra essi. Nel caso dell?impresa cooperativa la situazione è diversa: a parte i debiti, il capitale proprio della cooperativa si divide tra una parte che è “di proprietà” dei singoli soci, e una parte, “le riserve indivisibili”, che sono della cooperativa in quanto tale, ma non sono dei singoli soci. Se la cooperativa si scioglie, le riserve indivisibili vanno a un fondo nazionale di finanziamento del settore cooperativo.
Fino alla recente riforma, le riserve indivisibili erano del tutto esentate dalla tassazione e, anche per questa ragione, costituivano uno degli strumenti principali di finanziamento delle cooperative. Considerando un campione di tretaquattro cooperative di grande dimensione nel periodo 1993-1999, le riserve indivisibili rappresentavano una quota variabile tra l’84-85 per cento (cooperative di servizi e di costruzioni) a oltre il 90 per cento (cooperative di produzione e lavoro e, soprattutto, cooperative di consumo).
La riforma del diritto societario del 2003 ha modificato, in particolare, la definizione di cooperative a mutualità prevalente (articolo 2545 del codice civile). In sostanza, adesso, le cooperative di consumo sono considerate prevalenti se le vendite ai soci superano quelle ai non soci mentre le cooperative di produzione e lavoro sono considerate prevalenti se l?insieme delle retribuzioni dei soci supera quello degli altri lavoratori.
Nel frattempo Giulio Tremonti, all?inizio della legislatura, aveva provveduto a innalzare le imposte pagate dalle cooperative, con un maggior esborso che nel triennio 2002-2004 ha superato il miliardo (di euro, ovviamente). Con la Finanziaria 2005 la quota esente degli utili delle cooperative a mutualità non prevalente è stata limitata al 30 per cento, mentre per le altre arriva al 70 per cento (con trattamenti più favorevoli per quelle agricole e per quelle sociali, che in verità di utili ne fanno ben pochi).
Il sistema di tassazione non sembra peraltro ben armonizzato con il codice civile. Logica vorrebbe che la quota esente fosse proporzionale alla quota di prevalenza dell?attività dei soci (di consumo o di lavoro). Ma, comunque sia, è chiaro che solamente una parte degli utili si troverà in esenzione d?imposta. Ora, gli utili (pochi o tanti) sui quali è stata versata l?imposta dovrebbero rientrare in quelli che, in ultima istanza, fanno capo ai soci. Se vogliamo si tratta di una variazione sul tema della “no taxation without representation”.
Un fondo per le azioni delle cooperative
In sostanza il capitale proprio di una cooperativa dovrebbe essere formato da una parte di riserve indivisibili, e da un?altra parte invece di riserve “divisibili”, sui quali il socio ha disponibilità.
Il problema che si pone è quello di creare una circolazione di questi utili in capo ai soci, in modo tale da effettuare un risk-sharing. Anche grazie all’incentivazione fiscale del ristorno, è possibile prevedere che ogni anno l?impresa cooperativa destinerà una quota del valore aggiunto alle riserve indivisibili e divisibili (con un minimo vincolato per le prime e in misura liberamente scelta per le seconde).
Nasce dunque uno stock azionario che in prima battuta è distribuito ai soci dell?impresa. Sembra opportuno e coerente con la normativa dare piena trasferibilità alle azioni, anche per evitare una ulteriore concentrazione del rischio per il socio, che oltre al reddito di lavoro avrebbe anche quello di capitale collegato alle fortune dell?impresa. Perché si crei un effettivo mercato di queste azioni (come di quelle previste dalla legge sul socio sovventore) è indispensabile che agiscano degli intermediari specializzati, che possano effettuare uno sharing del rischio. Supponiamo che il rendimento delle azioni venga basato sul tasso di crescita del valore aggiunto delle singole imprese cooperative. Un fondo, che raccolga azioni provenienti da varie cooperative, può emettere titoli il cui rendimento dipende dall?andamento medio delle azioni.
È ovvio che in questa prospettiva diviene di cruciale importanza capire qual è il rendimento che può offrire un simile fondo. Da uno studio effettuato sulle trentaquattro cooperative è emerso un quadro variegato, ma tutto sommato positivo circa le potenzialità legate a un utilizzo intensivo del ristorno da parte delle cooperative di maggiori dimensioni.
tratto da www.lavoce.info
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