Economia
Coop: meno personalismi, più reti territoriali. La ricetta che fa volare il Sud.
di Redazione
Parlare oggi di cooperazione sociale in una regione come la Calabria, e più in generale nel Sud d?Italia, significa esplorare un universo ancora poco conosciuto. Gran parte degli studiosi sembra convergere sull?ipotesi che la crescita della cooperazione sociale al Sud nell?ultimo ventennio sia legata a un processo di trasformazione e razionalizzazione attivato all?interno del volontariato. In questo quadro di ristrutturazione, la cooperazione sociale rappresentava la forma ideale per consentire una gestione più efficace ed efficiente dei servizi curati dalle associazioni di volontariato. Pertanto la cooperazione sociale avrebbe dovuto mantenere quelle motivazioni e quelle spinte ideali che costituiscono l?anima dell?azione volontaria, coniugandole con modalità organizzative più strutturate e razionali. È proprio questo il nodo problematico della cooperazione sociale, vale a dire il rapporto di equilibrio tra l?identità, tipica dei movimenti, e il processo utilitaristico, la dimensione organizzativa, il servizio che sembrano condurre inequivocabilmente verso il mercato. In Calabria la cooperazione sociale rappresenta un fenomeno recente, nel senso che la maggior parte delle cooperative nasce dopo l?approvazione della legge n. 381/1991 ed assume una dimensione significativa solo negli ultimi anni. Attualmente, nelle cinque province calabresi, operano infatti 442 cooperative sociali concentrate soprattutto nelle province di Reggio Calabria e Cosenza.
Ma quali sono i caratteri della cooperazione sociale in Calabria e, soprattutto, quali sono gli aspetti problematici? Evitando pericolose generalizzazioni è possibile affermare che quello della cooperazione sociale in Calabria è un cammino lento e difficile. Le difficoltà sembrano essere legate innanzitutto allo scarso radicamento sul territorio. In particolare il quadro che emerge da alcune recenti ricerche delinea una cooperazione sociale debole, frammentata, spesso monosettoriale, sorta con l?obiettivo di perseguire gli interessi personali dei soci, e in particolar modo per le esigenze lavorative degli stessi, piuttosto che per fini universalistici. In una regione come la Calabria, caratterizzata da un tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale, l?opportunità di crearsi un lavoro ha influito in modo determinante sulla nascita di cooperative sociali.
Un altro elemento che contribuisce a definire la debolezza della cooperazione sociale in Calabria è la scarsa autonomia decisionale e la forte dipendenza economica dal settore pubblico. Questo si traduce in una relazione di mutuo adattamento in cui, di fronte all?incapacità di sollecitare la crescita della domanda privata, molte cooperative nascono, vivono e muoiono in relazione alla capacità di ottenere uno spazio nella domanda del settore pubblico. La gestione spesso ?particolaristico-clientelare? delle convenzioni è, infatti, agevolata dall?impossibilità di usare gli schemi previsti dalla legge di recepimento regionale della 381/91, a causa dell?assenza dei regolamenti attuativi.
Ci troviamo dunque di fronte a una situazione complessa in cui le grandi potenzialità di crescita per la cooperazione sociale, anche in termini di occupazione, si scontrano con i vincoli del territorio. Alla debolezza delle realtà del Terzo settore, probabilmente ancora troppo giovane rispetto ad altre zone, si abbina la fragilità delle istituzioni. In questa direzione si inserisce la creazione del Centro Regionale per l?Economia Sociale (Cres) che dovrebbe dare nuovo impulso all?economia sociale calabrese.
di Vincenzo Fortunato
docente del dipartimento di Sociologia e scienza politica dell’università della Calabria
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