Economia

Coop e banche, alleanza per un nuovo welfare

Tanti incoraggiamenti negli incontri con Confcooperative:"Voi sapete che il bene dei singoli è il bene di tutti. Continuate così".

di Redazione

Corrado Passera è intervenuto alla Convention Cgm che ha segnato una svolta nella vita del consorzio. Ecco le sue parole.

Questo Paese non va come dovrebbe. L?Italia non cresce abbastanza, non crea nuove imprese, non attrae investimenti, non genera sufficiente occupazione. Mentre tutto ciò accade, il nostro modello di welfare non protegge vaste fasce di popolazione. Questa ?coincidenza? di fattori (che non è una coincidenza) è lo spunto per qualche riflessione sul futuro e sulle opportunità che dobbiamo cogliere. Anzi, che dobbiamo darci. La crescita del terzo pilastro deve essere iniziativa dei singoli (l?adesione agli schemi di long term care ancora sconosciuti in Italia) e prima o poi sistema generale di protezione promosso dallo Stato.
In questa Italia che segna il passo, il non profit sorprende: 250mila organizzazioni, 800mila persone retribuite (quasi il 3% dell?occupazione) e 3,5 milioni di volontari. Un giro d?affari di oltre 40 miliardi di euro, una bassissima mortalità d?impresa e il 60% di crescita negli ultimi 5 anni. A favore del non profit 31 milioni di italiani versano ogni anno 117 euro a testa. Una crescita di queste dimensioni e di questa durata non lascia dubbi. In prospettiva, il non profit italiano crescerà ancora, lo dice il confronto con gli altri Paesi Ocse in termini occupazionali: il nostro 2,8% sul totale contro il 12% dell?Olanda, l?11 dell?Irlanda, il 10 del Belgio. In Europa siamo ben sotto la ?seconda linea? di Germania e Spagna (4,5%), Francia (4,9), GB (6,2). Nel più classico settore di intervento, i servizi alla persona, crescerà ancora di più, e dovremo predisporre non ?soltanto? la riforma – magari rendendo obbligatorio il long term care assicurativo – ma anche servizi sufficienti ed equi. Noi non possiamo permetterci di aspettare che il bisogno esploda senza offerte adeguate.
Non profit. Spesso confondiamo nel termine ?volontariato? l?impresa sociale, che realizza quella crescita a doppio effetto ?nuovo impiego-nuovi servizi alla persona? di cui c?è più bisogno, in un panorama dove il welfare si ritrae e la minaccia occupazionale resta presente.
L?impresa sociale deve trasformarsi profondamente, ma già se ne colgono i segni nella vivace crescita al Sud, nella maggiore capitalizzazione, nei manager più professionali, nella componente femminile che sale, e nel saldo attivo dell?8% tra natalità e mortalità d?impresa. Sono elementi preziosi che i regolatori centrali, le amministrazioni locali e gli altri soggetti economici come le banche devono accompagnare.
A livello di Stato, è ferma una legge sull?impresa sociale che ha almeno due limiti: non premia abbastanza la rete (che va invece aiutata in ogni modo) e dice troppo poco sulle fonti di finanziamento. È una legge che si preoccupa giustamente di classificare un fenomeno ma non abbastanza di porre le condizioni finanziarie per il suo sviluppo. Invece è chiaro che la crescita di questo settore passa anche attraverso un più efficiente accesso alle risorse pubbliche e private. Sta al legislatore prevedere le misure necessarie di finanza pubblica (la costituzione di garanzia, principalmente) in grado di far convergere sull?impresa sociale i necessari flussi finanziari privati. Verso l?impresa sociale si dovrebbe costruire la geometria virtuosa che abbiamo realizzato nel progetto di prestito universitario, dove la garanzia personale è sostituita da una garanzia terza (università e Fondazione Cariplo).
La banca – la nostra banca – ha scelto di avere un ruolo preciso di ?Banca per il Paese?, come abbiamo scritto nei primi due piani d?impresa: non qualcosa di estraneo o di filantropico ma un lavoro quotidiano finalizzato a trovare nuove occasioni e nuovi modelli per migliorare l?accesso al credito delle categorie che ne sono escluse. È stato così con gli studenti universitari e con gli extracomunitari, ma anche con le imprese sociali nel Progetto Asili Nido.
Dobbiamo aiutare la crescita di una parte tanto sana e labour intensive dell?economia; in secondo luogo, dobbiamo sfruttare le sue capacità aggregative, di protagonismo civile, di cultura della responsabilità, di tenuta sociale in aree difficili. E infine dobbiamo far sì che questo sistema produca servizi di qualità, quantità e democraticità pari ai bisogni del nostro Paese.
Non dimentichiamo mai che il welfare resta uno solo per tutti gli italiani, e che il welfare complementare di cui la cooperazione sociale è lo strumento deve prima di tutto essere inclusivo e ugualitario: non certo corrispondere e limitarsi alle aree a Pil più elevato. Le reti di imprese sociali devono mantenere una visione rigorosa della sussidiarietà: un sistema complementare e non alternativo all?opera svolta dalla mano pubblica che -pur con tante contraddizioni- ha creato il modello di ?contratto sociale? che rende il nostro Paese uno dei meglio e più equamente serviti. Le ricette miracolistiche sulla sostituzione del pubblico con il privato incontrano ormai poco favore. Dimentichiamole, e cerchiamo di rafforzare un?iniziativa privata alleata del sistema nazionale di welfare, intransigente sui princìpi, rispettosa dei fondamentali d?impresa e trasparente nell?offerta. E soprattutto capace di una scelta etica forte: sostenere il pubblico, non parassitare gli spazi lasciati liberi dal suo declino.
Per realizzare questi obiettivi abbiamo iniziato il lavoro comune con l?impresa sociale nel Progetto Asili Nido: credito senza garanzie supportato dalla partecipazione al rischio da parte delle reti. È ora di proporre lo stesso schema in altri settori verticali: anziani, lavoratori atipici, nuova cittadinanza, handicap. Lavorando con le reti nazionali stiamo migliorando i nostri modelli di valutazione dell?impresa sociale. Con l?esperienza dei progetti verticali, ci metteremo in grado di servire meglio questo mondo, uscendo dal circolo vizioso che vede le imprese sociali penalizzate da una valutazione standard. Nella prospettiva di Basilea2 un giorno vogliamo parlare di rating dell?impresa sociale.
Dunque la banca c?è, con varie forme di intervento: il modello verticale replicabile; l?impegno nell?affinamento degli strumenti di valutazione dell?impresa sociale; il prestito partecipativo alla rete, perché il fattore organizzativo è il primo asset da valorizzare nel non profit. Su questi tre punti sarà misurata la nostra capacità di aiutare l?impresa sociale a crescere. A sua volta, la banca si attende dall?incontro con l?impresa sociale di aggiungere un tassello al proprio ruolo di ?Banca per il Paese? che abbiamo centrato sulla responsabilità e la collaborazione con gli stakeholder. Solo cooperando con tutti i soggetti possiamo mettere a punto modelli efficaci e trasferirli sul territorio. E poi la banca si aspetta di servire meglio i propri clienti con la necessaria prudenza ma con nuovi metri di giudizio; e di questo c?è bisogno nell?Italia dove restano fuori dal credito 14 famiglie su 100 e dove l?esclusione cresce inversamente all?istruzione.
La nostra banca ha incontrato l?impresa sociale. Ci sono tutti i motivi e tutto lo spazio per lavorare insieme.

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