Economia

Coop 29 giugno? Centinaia di casi così

Nell'inchiesta Mafia Capitale emerge sempre più evidente il ruolo di Salvatore Buzzi, presidente di una delle realtà più importanti di Roma. Johnny Dotti, ex presidente di Cgm e fondatore di Welfare Italia: «Non credete alla teoria delle mele marce»

di Redazione

Ex presidente e amministratore del Gruppo cooperativo CGM ed ex presidente di Welfare Italia, Johnny Dotti è oggi un libero battitore del mondo della cooperazione sociale a cui ha dedicato (e continua a dedicare)  la sua vita professionale e non solo quella. Vita.it lo ha raggiunto al telefono proprio nelle ore in cui nell’inchiesta Mafia capitale, sta emergendo il ruolo di primo piano di Salvatore Buzzi e della sua cooperativa sociale 29 Giugno, 60 milioni di fatturato con tanto di bilancio sociale.

Dotti, sorpreso di quello che sta succedendo a Roma?
Chi parla di mele marce, prende una scorciatoia. Troppo Facile. Sono da troppo tempo nel mondo della cooperazione per poterci credere. Con l’allargarsi del perimetro di azione della cooperazione sociale, stiamo assistendo alle medesime dinamiche che in passato hanno interessato la cooperazione di produzione/lavoro e le cooperative edilizie.

Quindi quello della 29 Giugno non è un caso isolato…
Secondo me casi simili ce ne sono a centinaia in Italia. Certo ogni caso è a suo modo unico, e anche in questo ci sono delle specificità tipicamente e folkloristicamente romane, ma il tema è un altro. Come intervenire?

La presidente di Legacoopsociali Paola Menetti ha subito sospeso le persone coinvolte nell’inchiesta e riaffermato «la distanza della cooperazione, dell’idea cooperativa, dell’esperienza della cooperazione sociale da tutto questo cumulo d’illegalità». Basta?
Le centrali cooperative hanno responsabilità precise. La norma impone loro la revisione sulle attività delle associate. Una revisione che se rimane esclusivamente fiscale e contabile è ininfluente. Io quando ero al vertice di Cgm ho espulso molti di consorzi e centinaia di cooperative. E so bene quanto costi in termini economici (gli associati pagano le quote, compresa la 29 Giugno) e in termini di consenso politico. Poi ci sono almeno altre tre dimensioni da tenere presenti.

La prima?
Noi chiediamo a gran voce il ricambio della politica, ma anche nel nostro mondo il tema generazionale è un problema enorme che non si vuole affrontare. Stare al vertice di un consorzio o di una cooperativa per 10/15/20 anni assicura delle rendite di posizioni che oggi possiamo ben immaginare. In CGM al massimo si possono fare due mandati.

La seconda?
In Italia il 50% del Pil è intermediato dal pubblico. E anche la cooperazione sociale è troppo coinvolta in questo meccanismo perverso. Non a caso a Roma si parla di commesse pubbliche per le pulizie, la gestione del verde, i campi nomadi e l’emergenza immigrati. Io mi chiedo: possibile che non ci sia un modello di governance diverso da quello che sta emergendo a Roma? La nuova legge sull’impresa sociale, e speriamo arrivi presto e non depotenziata, serve proprio disegnare uno schema di gestione dei beni comunitari che segni un’inversione di tendenza rispetto a quello non più sostenibile di oggi.

Ultimo nodo?
I sistemi reticolati veri costituiscono in buona misura una garanzia contro certe derive, perché introducono anticorpi e meccanismi di auto e mutuo controllo. Invece assistiamo a un pullulare di cani sciolti, nati chissà dove e chissà come che opera e gestiscono rapporti in assoluta anarchia.
 

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