Non profit

Convenzione Onu, palla alle associazioni

Come cambia il ruolo degli enti dopo l'entrata in vigore

di Franco Bomprezzi

L’Italia è il cinquantunesimo Paese al mondo ad aver ratificato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, il 24 febbraio scorso. Fino a quando il testo non sarà ratificato da sessanta Paesi non si potrà modificare la composizione del Comitato internazionale previsto dall’art. 34, attualmente formato da 12 membri, scelti fra i primi Paesi firmatari (l’Italia non ne fa parte, avendo ratificato in ritardo la Convenzione stessa).Il Comitato internazionale sarà dunque allargato a 18 membri solo dopo il raggiungimento delle 60 adesioni, e in quel momento si vedrà se il nostro Paese, che è stato fra i più attivi nella fase di formulazione del testo, potrà designare un proprio rappresentante. Per il momento dunque le conseguenze pratiche della ratifica sono soprattutto di natura culturale e normativa. Trattandosi a tutti gli effetti di una legge dello Stato, ogni cittadino può chiederne il rispetto. La Convenzione infatti prevede in tutti i campi della vita delle persone con disabilità il rispetto del principio di non discriminazione. Non solo: la Convenzione prevede che ogni Stato membro nomini un osservatorio nazionale, all’interno del quale deve essere adeguatamente rappresentato il mondo delle associazioni delle persone con disabilità. Un impegno, quest’ultimo, che è stato subito confermato dal governo e che dovrebbe essere onorato nei prossimi mesi. L’osservatorio consentirà dunque un primo punto della situazione in Italia, una verifica delle politiche inclusive, ad esempio nel campo dell’istruzione, o del lavoro, o della mobilità, o della salute. Ne nascerà un rapporto che l’Italia invierà alle Nazioni Unite, così come prevede la Convenzione, entro due anni dall’entrata in vigore.
È dunque fondamentale questo lavoro di monitoraggio, che non sarà facile, ma che può rappresentare un forte stimolo anche culturale al ripensamento dei servizi, della logica di inclusione, a partire dai principi fissati nei primi articoli della Convenzione Onu dove, ad esempio, al punto “e” del preambolo, si dichiara che «la disabilità è un concetto in evoluzione» e che «la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena
ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri». Ma la Convenzione poco più avanti, all’art. 2, è molto chiara: «Per “discriminazione fondata sulla disabilità” si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole; per “accomodamento ragionevole” si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali». Ecco dunque che i prossimi mesi vedranno un nuovo fiorire di iniziative, in tutta Italia, per favorire la conoscenza dei contenuti della Convenzione, la sua adozione anche a livello territoriale (Regioni, Province, Comuni), dal momento che ad ogni livello questo strumento di diritto internazionale assume un significato forte di richiamo alla coerenza tra i principi e la pratica politica e amministrativa. Qui si vedrà soprattutto la capacità del movimento delle associazioni delle persone con disabilità di uscire da una visione settoriale o puramente rivendicativa per assumere un ruolo attivo e dinamico di proposta culturale per tutti.

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