Riflessioni
Contro le diseguaglianze, è tempo di economia sabbatica
L’abbondanza dei beni di oggi è vero miglioramento della qualità della vita per tutti o ricchezza accumulata? Intorno a quest’interrogativo ruotano le riflessioni del libro “Economia sabbatica. Per una destinazione universale dei beni”. Giulio Guarini, uno degli autori: «Ci stiamo avvicinando al Giubileo 2025, che richiede una riflessione non soltanto spirituale, ma anche di tipo socio-economico»
Il punto centrale dell’economia sabbatica è prevedere dei momenti a breve (da Shabbat, sabato) e a medio-lungo termine (Giubileo) per ridare il corretto senso all’agire economico. Economia sabbatica. Per una destinazione universale dei beni (Marcianum Press) è un libro scritto a quattro mani da Alex Zanotelli, missionario comboniano e Giulio Guarini, professore ordinario di Economia politica presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo), membro di MinervaLab-Sapienza Università di Roma.
Una riflessione critica sull’economia odierna, prospettando un circolo virtuoso tra abbondanza di vita e condivisione, dopo avere illustrato le fondamenta bibliche dell’economia sabbatica incentrata sulla giustizia sociale. È questa la sinossi del vostro lavoro. Guarini, come nasce l’idea di questo libro?
Nasce da padre Alex Zanotelli, che ha scritto la prima parte di questo libro e stava cercando un economista con cui confrontarsi sui suoi contenuti. Io collaboro con i comboniani e siamo entrati in contatto. Il mio contributo nel libro sono delle riflessioni in merito a quello che padre Zanotelli aveva scritto.
«Difficile immaginare un libro più attuale di quello di Giulio Guarini e Alex Zanotelli. La loro chiamata? Organizzare un Giubileo dei debiti – come si praticava, secondo l’Antico Testamento, nelle prime comunità ebraiche – per organizzare un’economia di abbondanza condivisa», scrive nella prefazione di Economia sabbatica Gaël Giraud, economista, direttore di ricerca del Cnrs (Centre national de la Recherche scientifique). Perché il tema è così attuale?
Il libro parte dalla constatazione che, come ormai tutte le analisi illustrano, c’è un aumento delle disuguaglianze a livello internazionale, all’interno di ogni Paese tra i territori, tra i gruppi sociali. Anche disuguaglianze rispetto alla distribuzione del reddito, tra profitti, salari e rendite. Questa è una fase in cui vari studi portano a dire che siamo in un acuirsi delle disuguaglianze. Dall’altra parte, abbiamo una crisi ambientale che continua ad essere pressante.
L’economia sabbatica, fondata sull’osservanza del sabato, ci insegna a ritrovare il significato dello stare insieme, riformando i meccanismi economici secondo equità: la “manna” è stata donata al popolo d’Israele nel deserto per essere condivisa. Cosa proponete, lei e padre Zanotelli?
L’idea del libro è quella di dare una visione che aiuti a stimolare delle riflessioni più puntuali e possa ispirare anche delle politiche. Vuole offrire anche un modo di analizzare i processi, i costi sociali e ambientali. Forse in questo periodo siamo un po’ poveri di visioni generali. Questa visione dell’economia sabbatica (l’abbiamo chiamato in questo modo per sottolineare l’ispirazione biblica) propone il rivedere alcuni rapporti economici, cercando di rimetterli sui binari giusti. Oggi come non mai c’è bisogno di una riflessione in questo senso.
«Essere “intelligenti” oggi è ascoltare l’appello di Guarini e Zanotelli. Significa accettare di negoziare una remissione del debito al fine di finanziare la biforcazione ecologica e sociale», scrive ancora Gaël Giraud nella prefazione del libro.
Nel 2025 ci sarà il Giubileo, nel 2000 ci furono un movimento, delle riflessioni sulla cancellazione del debito a cui anche l’Italia prese parte. Non mi sembra ci sia una grande discussione sul tema, in preparazione del Giubileo del 2025. È un libro che vorrebbe andare, ovviamente, oltre il 2025, che però può essere attuale perché ci stiamo avvicinando al Giubileo dell’anno prossimo, che richiede una riflessione non soltanto spirituale, ma anche di tipo socio-economico, com’è nella tradizione biblica.
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In che modo la crisi ambientale, citata da lei poco fa, influisce nel tema?
Si muove tutto insieme. Oggigiorno non c’è solo la specializzazione produttiva dei beni, c’è anche quella produttiva delle idee. In questo senso, si vuole tenere insieme la crisi ambientale con una crisi sociale. Se si parla di rendite, intendiamo non solo quelle finanziarie ma anche quelle delle risorse naturali. È un ambito di cui parliamo nel libro, in riferimento a tutti quei Paesi che, vivendo di sfruttamento delle risorse naturali, stanno danneggiando l’ambiente e creando quel conflitto tra le rendite dei latifondisti dell’Ottocento (oggi proprietari dei grandi giacimenti) e chi vorrebbe provare a fare valore aggiunto, creando imprese e riducendo lo sfruttamento delle risorse naturali.
Perché «è tempo di un’altra finanza», come dice nella prefazione Gaël Giraud?
Tutta la prima parte del libro aprirebbe tante possibili strade. La mia idea è quella di una “manna” della capacità produttiva che, dall’Ottocento ad oggi, continua a crescere. Siamo in un periodo dell’abbondanza e anche la finanza è esempio di abbondanza, che però è ricchezza accumulata. In qualche modo è chiusa in se stessa. Tanto più è chiusa in se stessa, tanto più crea delle situazioni di fragilità e di “bolle” che prima o poi scoppiano.
C’è bisogno di un’altra finanza, quindi?
C’è bisogno che la finanza torni ad essere quella che era. La finanza che storicamente nasce per dare risposte all’economia reale. Tutti gli strumenti finanziari, almeno iniziali, nascono per dare risposte a chi vuole allargare i commerci e intensificare gli scambi. A un certo punto, si è capito che era inutile andare in giro con i sacchi d’oro e così sono nate le banconote: una finanza che sta al servizio dell’economia. Oggi siamo all’economia che è al servizio della finanza. Questo capovolgimento ha delle conseguenze, tanto più si chiudono i canali che uniscono l’abbondanza di vita, tanto più quest’ultima non è più abbondanza di vita ma ricchezza accumulata. Se le banche decidono di investire soprattutto in attività di Borsa, in speculazioni, e non portano risparmi verso attività produttive, il sistema non regge.
Le vere riforme sarebbero tutte le politiche che andassero a rimuovere gli ostacoli in questo circuito tra abbondanza di vita e condivisione
«Al giorno d’oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di niente», scriveva Oscar Wilde.
L’intento mio e di Zanotelli è di chiederci se c’è qualcosa che tiene insieme la deforestazione dell’Amazzonia, la grande speculazione finanziaria e, dall’altra parte i quartieri che si spopolano di negozi perché i centri commerciali fagocitano le attività produttive. La nostra risposta è sì. Qualcosa tiene insieme tutto questo, bisogna unire i puntini e vedere cosa esce fuori. Secondo me, quello che esce fuori è che la condanna della ricchezza nella Bibbia, oggi, è tutta quella ricchezza accumulata, con tutte le forme che bloccano e ostacolano la condivisione. I meccanismi di una mera distribuzione forzata storicamente hanno fallito, ad un centro punto non era soltanto la libertà ma la vocazione umana a rendere ognuno utile per gli altri e libero di esprimere se stesso. Andrebbero attivate forme di attivazione locali: negozi che si mettono a fare rete, l’inclusione attiva andrebbero promosse di più. Sono il mezzo per creare ricchezza che sia anche abbondanza di vita.
La politica cosa potrebbe fare?
Oggi si parla tanto di riforme, ma le vere riforme sarebbero tutte le politiche che andassero a rimuovere gli ostacoli in questo circuito tra abbondanza di vita e condivisione.
Cosa si potrebbe fare per rendere concreto questo circolo virtuoso tra abbondanza di vita e condivisione?
Nei vari ambiti sono tante le cose che si potrebbero fare. Nella finanza, la vera riforma sarebbe riuscire a fare in modo che torni ad essere strumento di economia reale. Dopo il 1929 ci fu la divisione tra banche commerciali e banche di investimento, il dibattito della crisi del 2008-2009 non è stato fatto, si è fatta la regolamentazione ma non si è andato oltre. Per quanto riguarda l’ambiente, si potrebbero trovare delle forme per attivare dei miglioramenti dell’efficienza ambientale tramite meccanismi di condivisione. Le energie rinnovabili, a differenza di quelle non rinnovabili, danno una certa autonomia di gestione: non bisogna essere attaccati ad un’infrastruttura. Si possono anche attivare forme creative di organizzazione collettiva. Potrebbe essere che, proprio perché i salari sono bassi, c’è bassa produttività del lavoro in Italia. Quando l’Italia ha arretrato rispetto agli altri paesi europei? Nella metà degli anni Novanta, quando ci sono state una serie di riforme del mercato del lavoro, che l’hanno precarizzato molto. La condivisione può aiutare l’abbondanza di vita.
In che modo?
Con salari più alti e forme efficienti di lavoro, ad esempio con la cogestione e la partecipazione aziendale all’interno delle imprese dei lavoratori in forme nuove, anche le aziende lavorano meglio. Non abbiamo in Italia questa tradizione, in Germania ce l’hanno. Perché non aprire un dibattito sull’argomento, visto che forme nuove di partecipazione all’interno delle aziende sono previste nella Costituzione? Non è possibile che l’impresa sia una “black box”, se si pensa a questo circuito tra abbondanza di vita e condivisione.
Foto di apertura di Towfiqu barbhuiya su Unsplash.
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