Salute
Contro l’aids l’Africa ora fa da sé Sudafrica, l’Uganda e il Senegal sono i paesi più attivi nellaricerca, ma è tutto il Continente ad aver cambiato marcia. Come dimostrano le scoperte più recenti di Mame Aly Konte
salute Segnali di svolta dal continente nero
di Redazione
Si chiama Souleymane Mboup. Dopo 25 anni passati a combattere contro i batteri più letali dell’Africa, nel 1999 il settimanale Jeune Afrique incoronò la sua carriera scientifica con il premio di “Africano del secolo”. Quattro anni prima, Mboup fu uno dei primi scienziati a ricostituire la storia naturale del virus dell’Hiv e il primo a scoprire il tasso di progressione devastante dell’Hiv 2 nelle persone sieropositive in cui l’Aids non è ancora conclamato.
Apparso ormai più di 25 anni fa, il virus rimane oggetto di molte attenzioni scientifiche. A conferma però che le ricerche non sono di competenza esclusiva dei paesi ricchi, nel marzo scorso gli scienziati africani si sono dati appuntamento a Entebbe in Uganda per fare il punto sullo stato di avanzamento dei lavori del Programma africano per un vaccino anti-Aids (Aavp). Non solo. Convinti che ai media spetti il ruolo cruciale di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica continentale in vista della Conferenza mondiale sull’Aids che si terrà a Dakar tra il 3 e il 7 dicembre 2008, Mboup e i suoi colleghi hanno deciso di invitare una trentina di giornalisti africani.
Con tutta onestà, sono sbarcato da Dakar senza tante illusioni. Nonostante gli sforzi finanziari enormi messi a disposizione della Comunità internazionale per trovare un vaccino efficace (quasi un miliardo di dollari nel 2007), sapevo che i nostri scienziati stavano lottando contro i mulini a vento. Alla guida del laboratorio di batteriologia e di virologia di Dakar, uno dei più prestigiosi del continente, Mboup è uno dei pochissimi ricercatori locali in grado di incanalare finanziamenti consistenti provenienti dal Nord del mondo. Per gli altri, è una lotta che sembra persa in partenza. «Ma non del tutto» ribatte Kaleebu Pontiano. Docente presso l’Università di Kampala e responsabile del Programma nazionale di ricerca sull’Aids in Uganda, Pontiano è convinto che «la speranza di scoprire un vaccino anti-Aids in Africa è ancora viva. Molto dipenderà dal livello di collaborazione che gli istituti nazionali, regionali e internazionali saranno in grado di attuare nei prossimi anni». «Al di là dei fattori economici» prosegue Pontiano, «la scoperta del vaccino non dipende soltanto dai ricercatori: il mancato affiatamento tra la comunità scientifica e le istanze governative mette spesso a repentaglio gli sforzi compiuti in fase di ricerca».
Dal 1983, anno del primo test anti-Aids, «un numero impressionante di vaccini è stato testato in Africa e il progetto di ricerca dovrebbe andare avanti almeno fino al 2013. La scoperta più recente e interessante» ricorda Souleymane Mboup, «è stata realizzata nel nostro continente: oggi siamo quasi certi che la circoncisione riduce non di poco i rischi di contaminazione». In attesa di scoprire un vaccino in grado di mettere l’Aids k.o., la comunità scientifica africana è convinta che le ricerche debbano ormai associare l’Hiv alla tubercolosi. Secondo l’Oms, la crescita dei casi di tubercolosi nel continente è dovuta al grande numero di pazienti sieropositivi (13% contro meno di 1% nei paesi asiatici). «Ora», conclude Mboup, «test clinici elaborati nei tre paesi all’avanguardia della ricerca sull’Aids, ovvero il Sudafrica, l’Uganda e il Senegal, ci hanno convinto sulla necessità di orientare parte dei nostri lavori sulle persone sieropositive colpite dal bacillo di Koch». Rimane da capire chi finanzierà queste nuove ricerche. «La crisi alimentare è fonte di enorme preoccupazione» sostiene Mboup. Che conclude: «La povertà sta colpendo nuove classe sociali e questo aumenta il rischio i vedere i fondi destinati alla ricerca sull’Aids trasformati in aiuti contro la fame».
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