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Contro la leucemia un farmaco “regala” una vita normale
Lo studio è di un team tutto italiano
di Redazione
I pazienti affetti da leucemia mieloide cronica trattati per due anni con il farmaco imatinib hanno un tasso di mortalita’ simile a quello della popolazione sana. Lo ha dimostrato la ricerca italiana denominata Ilte (Imatinib Long Time Effects), i cui risultati saranno pubblicati a partire da venerdi’ 1 aprile sul sito del ‘Journal of the National Cancer Institute’ e successivamente sul numero del 6 aprile della stessa rivista.
Lo studio Ilte, coordinato da Carlo Gambacorti Passerini, associato di Medicina interna presso la Facolta’ di Medicina dell’universita’ di Milano-Bicocca – informa una nota – e’ la prima valutazione indipendente su un ampio numero di pazienti che ha dimostrato che, anche in presenza di effetti collaterali, i tassi di sopravvivenza sono rimasti elevati dopo otto anni di trattamento con il farmaco. Prima di questo studio, infatti, le uniche informazioni sugli effetti a lungo termine dell’assunzione per via orale di imatinib provenivano da ricerche sponsorizzate dall’industria farmaceutica e condotte in centri selezionati.
La ricerca, tutta italiana nella pianificazione, condotta da Gambacorti Passerini e dal suo staff, ha arruolato 832 pazienti di 27 centri in Europa, Nord e Sud America, Africa, Medio Oriente e Asia che erano in remissione citogenetica completa dopo due anni di assunzione del farmaco. Venti decessi si sono verificati durante il follow-up, pari a un tasso di mortalita’ del 4,8%, simile a quanto ci si aspetterebbe in un gruppo analogo di persone nella popolazione sana. Solo sei di questi decessi sono stati attribuiti alla presenza della leucemia.
La comparsa di gravi patologie, come ad esempio i problemi del sistema cardiovascolare e digestivo, sono stati riportati in 139 pazienti, ma di questi sono stati considerati correlati al trattamento conimatinib solo 27 casi, pari al 19%. Disturbi meno gravi legati all’uso di imatinib, giudicati dai medici curanti rilevanti sulla qualita’ della vita dei pazienti, si sono registrati in piu’ della meta’ dei pazienti. Tra i piu’ frequenti i crampi muscolari, debolezza, edema, fragilita’ della pelle, diarrea, lesioni a tendini o legamenti. Diciannove pazienti (pari al 2,3%) hanno interrotto l’assunzione di imatinib a causa di questi effetti collaterali, almeno la meta’ di questi sono passati a terapie con uno degli altri farmaci mirati per la leucemia mieloide cronica, dasatinib e nilotinib, disponibili dal 2006.
“I dati – dice Carlo Gambacorti Passerini – mostrano che questi pazienti hanno un’aspettativa di vita normale: questo deve comportare importanti ripercussioni sociali in molti aspetti come lavoro, assicurazioni, adozioni, concessione di mutui, solo per citarne alcuni, ambiti nei quali ora prevale un trattamento diverso, discriminatorio, basato su concetti sorpassati e definitivamente distrutti da questi dati”. Gli autori dello studio hanno concluso che i pazienti trattati con imatinib spesso soffrono di effetti collaterali che non sono gravi, ma possono comunque ridurre la qualita’ della loro vita. Pertanto i risultati mettono in luce l’importanza di una buona relazione tra operatori sanitari e pazienti, in modo particolare per quanto riguarda la comunicazione sugli effetti collaterali e la relativa terapia di supporto, che se effettuata in maniera corretta e mirata si rivela efficace a ridurre o evitare la non regolare assunzione di imatinib che puo’ comprometterne l’attivita’ terapeutica.
“Questo e’ il primo tumore – ha concluso Carlo Gambacorti Passerini – che ci ha permesso di dimostrare che e’ possibile ridare al paziente un’aspettativa di vita normale. In questo senso, l’approccio utilizzato puo’ essere un valido modello da seguire per la terapia degli altri tumori: prima identificare con esattezza il bersaglio da colpire, e per ottenerlo e’ necessario conoscere la patogenesi molecolare di ogni tumore, e poi sviluppare un inibitore attivo e specifico, come imatinib”.
Carlo Gambacorti Passerini e’ professore associato di Medicina interna presso l’Universita’ di Milano Bicocca, conduce attivita’ clinica nell’Unita’ di Ematologia diretta da Enrico Pogliani, ed e’ responsabile dell’Unita’ di Ricerca Clinica dell’Ospedale San Gerardo. Le sue ricerche sono finanziate in parte dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e dalla Fondazione Cariplo.
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