La parola 'ndrangheta è oggi sulla bocca di tanti. Usarla è diventata quasi un luogo comune, eppure per molti anni nessuno si è servito di questo termine di origine grecanica. Onorata società, "famiglia Montalbano", picciotteria… Corrado Alvaro, lo scrittore di Gente d'Aspromonte, la chiamava "fibbia", termine ripreso da Guido Piovene che ne fa uso nel suo Viaggio in Italia.
Il primo a servirsi esplicitamente e compiutamente dei termini 'ndrangheta e 'ndrina fu però il calabrese Saverio Strati, scomparso a Scandicci il 9 aprile scorso, all'età di ottantanove anni.
Scrittore autodidatta – come spesso amava definirsi -, muratore laureatosi a Messina, Strati pubblicò il suo primo romanzo – La marchesina – nel 1956, e il suo romanzo più noto – Il selvaggio di Santa Venere, che gli valse il premio Campiello – nel 1977.
Poi, fu un lento scivolare nell'oblio, nella povertà, nella lontananza. Se, come ha scritto Antonio Nicaso, nella Marchesina la 'ndrangheta è ancora un modo di esistere, un fatto totale che avvolge l'esistenza degli ultimi, nel Selvaggio è la potenza inglobante del potere criminale a essere al centro della scena.
Nel febbraio del 1978, Strati scriveva: «Per essere affibbiato alla 'ndrina non basta il coraggio, non basta la fede che il simpatizzante dimostra di avere tramite i contatti che stabilisce con i giovani 'ndranghetisti. Conta, e parecchio, l'onore della famiglia, nella quale non ci devono essere "cantatori infam", non ci dev'essere segno di "corna" … Dal giorno dell'iniziazione il 'ndranghetista si comporta in modo diverso dai "cardoni": parla in una certa maniera, cammina anche in una certa maniera, è più sicuro di sé; sa che ha alle spalle tutto un gruppo a difenderlo. Insomma a questo punto entrerebbe la scienza del comportamento per spiegare il nuovo modo di pensare e di agire dell'iniziato. Modo di pensare e di agire che è riassunto nel verbo 'ndranghetiare. Verbo che alla mafia siciliana manca. E questo 'ndranghetiare consiste in una serie di compiti che l' "omo senza più coda", "omo con due battesimi" deve saper assolvere senza "scampanare" o "sgarrare"».
Un punto punto chiave, questo della doppia fedeltà, che con inaudito vigore – le parole sussurrate non traggano in inganno – Papa Francesco ha toccato nelle scorse settimane. Forte il richiamo all'inferno da parte di un Papa che sembra voglia scalfire – come suggerito anche da Nicolò Gratteri – il piano simbolico e contro-rituale, non solo quello armato, della 'ndrangheta.
Il potere – ha detto Francesco – il denaro che voi avere adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non potrete portarlo all'altra vita. Convertitevi. Ancora c'è tempo per non finire nell'inferno: è quello che vi aspetta se continuate su questa strada". "Voi avete avuto un papà, una mamma" pensate a loro, piangete un pò e convertitevi!».
Contro questo doppio battesimo del denaro si è sempre battuto Saverio Strati.
L'umiltà e il rancore, il delitto e il diritto, i riti di affiliazione e il sangue, il materiale, il rituale e il simbolico: tutto era stato descritto da Strati con rigore neorealista. Ma al centro del suo mondo, scavando, c'è ben altro che la denuncia. C'è una condivisione vera, necessaria, con la realtà – da qui il richiamo al "pensiero contadino" – d gli ultimi. Quegli ultimi che intrappolati tra Stato e anti-Stato hanno sempre perso e sempre perderanno. Quelli per cui illegalità e legalità sono solo due ganasce di una medesima morsa.
Nel Selvaggio di Santa Venere edito da Mondadori e oggi fuori catalogo, Strati descrive riti di affiliazione e codici dela società, sottoponendo a dura, durissima critica la mitologia della 'ndrangheta come sistema d'onore. L'infamia – tema chiave dell'immaginario criminale – è da lui proiettata direttamente nel mondo della "onorata società". Con quali conseguenza è facile immaginarlo. Prima tra tutte… il silenzio caduto sulla sua opera.
In anni di retorica e dispute su gomorre e antigomorre non c'è stato un solo editore disposto a recuperare i testi di Stati, un solo intellettuale disposto a rivalutarne il lavoro – un tempo letto e studiato anche nelle scuole superiori. Va inoltre ricordato che Strati è stato un autore Mondadori fino agli anni '90. Poi, col cambio di proprietà della casa editrice di Segrate, qualcosa deve essere successo se, come raccontano i suoi biografi, un libro già in bozze venne bloccato. Iniziò da allora la parabola delal notorietà discendente di Stati.
«Ma il mondo va così, è triste ma va così». Tre anni fa lo chiamai (pubblicheremo nei prossimi giorni l'intervista che gli feci), in una di quelle giornate d'agosto che ti tolgono il respiro. Parlamo del Selvaggio, della sua malattia e del silenzio da cui si sentiva circondato.
«Verrà il tuo turno e pagherai», si legge nel Selvaggio di Santa Venere. E Strati ha pagato un prezzo troppo alto, scottato più per l'improvvisa indifferenza degli uni che dal rancore degli altri.
Il suo è stato un viaggio da «etnografo, nei tristi tropici del cerchio criminale». Un viaggio che dovremmo riprendere, per capire e interrogarci.
Perché, gli chiesi, questo silenzio? «Perché la letteratura è un resto atavico, si nasconde e riaffiora quando meno te lo aspetti».La nostra breve conversazione si concluse con un invito di Stati:«mi pensi, ma per pensarmi mi legga, così sarò vivo».
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