Il caso di Luca
Continuità degli affetti: servono tavoli regionali permanenti di confronto
Il piccolo Luca resterà con la sua famiglia adottiva: il Tribunale per i Minorenni di Milano ha respinto il ricorso degli affidatari. Una vicenda carica di sofferenza, che per Anna Guerrieri - presidente del Coordinamento Care - lascia due evidenze: la necessità di spazi permanenti di confronto nei territori tra tutti gli attori coinvolti e una cura maggiore per gli affidi ponte. Solo così si possono costruire delle buone prassi

Il Tribunale per i minorenni di Milano ha respinto il ricorso per far rientrare il piccolo Luca – questo il nome con cui è stato chiamato nel momento in cui la famiglia affidataria ha scelto di rendere pubblica la vicenda – nella famiglia in cui era cresciuto per i suoi primi quattro anni di vita. Da circa quattro settimane Luca è stato adottato ed è nella sua nuova famiglia. Il punto drammatico della vicenda è che è stata condotta – non sta ad un articolo dire per responsabilità di chi – in modo tale che non c’è stata continuità e gradualità nel passaggio tra le due famiglie. Il caso ha avuto una grandissima eco sui media e sui social. È stato detto addirittura che è stata violata la legge 173/2015 sulla continuità degli affetti del minore in affido, legge che tuttavia non prevede alcun automatismo in merito: lo stesso concetto di automatismo è – lo ripetono tutti, si veda anche la recente sentenza della Corte costituzionale sull’apertura delle adozioni ai single – contraddittorio rispetto all’essenza stessa della giustizia minorile. Questa è la ragione per cui oggi che la vicenda giunge al suo epilogo, esattamente come quando è arrivata sotto i riflettori, senza accesso a tutte le carte qualsiasi commento non può che essere generico e non specifico. E tuttavia qualche riflessione va fatta. Anna Guerrieri è la presidente del Coordinamento Care, che raccoglie più di quaranta associazioni familiari che si occupano di affido e adozione.
Che commento si può fare a margine di una vicenda che ha commosso e coinvolto emotivamente tante persone?
A dieci anni dalla legge 173/2015 serve una approfondita riflessione su come essa sia stata attuata negli anni, per garantire la continuità degli affetti a favore dei bambini e delle bambine. I titolari del diritto alla continuità degli affetti, infatti, sono proprio loro, i bambini, non gli adulti. E il concetto di “continuità degli affetti”, se rispondente ai loro interessi, può significare tante cose: l’adozione da parte della famiglia affidataria è un’ipotesi, ma lo è anche la possibilità di avere relazioni e contatti tra famiglie, in particolare tra famiglia adottiva e famiglia affidataria. Si tratta, quando è possibile e significativo realizzarle, di relazioni fondamentali che possono accompagnare lo sviluppo del bambino nel tempo, in modo semplice, quotidiano e affettuoso. Come sempre quando si tratta dei “migliori interessi dei bambini” ogni caso è a sé e va valutato in modo specifico. Non possono esserci automatismi.
Dire continuità degli affetti significa parlare di rispetto, soprattutto rispetto del bambino e ora è davvero importante che si faccia il punto su come questo rispetto sia stato praticato, con un’analisi accurata di come sia stata attuata la legge, di quali siano stati i punti di vantaggio e quali le criticità, anche alla luce dei cambiamenti che sia l’adozione sia l’affido stanno vivendo in questo momento. Questo, in effetti, è uno dei temi che, come Coordinamento Care, porteremo a breve in un confronto con Aimmf-Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia.
Dalle associazioni e dalle famiglie che cosa vi arriva a tal proposito? Sottolineare che il diritto alla continuità degli affetti è prima di tutto del bambino, significa in generale riscontrare che c’è una spinta nella direzione adultocentrica?
Non credo si tratti solo di una spinta adultocentrica. Le persone coinvolte, quando la continuità affettiva desiderata non si realizza, sono sofferenti e tale sofferenza va rispettata. Prima di tutto quella dei piccoli. È compito dei Tribunali prendere decisioni a tutela dei bambini e dei loro diritti relazionali. Lo fanno nei contesti di affido ma anche in quelli di adozione. Il sistema di tutela dell’Infanzia si basa esattamente su questo, sul fatto che ci sia una autorità giudiziaria che, in maniera collegiale, magistrati insieme a psicologi e pedagogisti, prende decisioni alla luce di quel che sa. Quando si parla di adozione, ad esempio, i Tribunali decidono in merito alla separazione dalle famiglie biologiche e, a volte, lo fanno drasticamente e in emergenza. Sono molte, per esempio, le associazioni del Coordinamento Care che accolgono i minori in affido transitorio proprio in seguito ad uno strappo repentino, ma necessario, dalla famiglia di origine. Si tratta di bambini e bambine che avranno bisogno di costruire nuovi tessuti affettivi nonostante l’evento traumatico che si sono trovati a vivere. È importante essere consapevoli che si tratta sempre di un evento traumatico. Non lo è solo quando si ha la separazione da una famiglia, come in genere sono quelle affidatarie, piena di risorse.

Nei commenti sui social, da settimane in tanti hanno detto che la famiglia adottiva se volesse davvero il bene di “Luca” doveva rifiutare l’adozione…
Questi commenti sono figli di una percezione predatoria delle famiglie adottive. Le famiglie adottive sono risorse, non predatori opportunisti. È il Tribunale che decide in merito all’abbinamento tra un bambino e una famiglia. La famiglia adottiva può solo dichiararsi disponibile o tirarsi indietro se sente di non essere in grado di accogliere quello specifico bambino. Se diciamo che una famiglia adottiva deve rinunciare a rendersi disponibile perché un bambino, pur dichiarato adottabile, è stato a lungo in una famiglia affidataria che ne chiede l’adozione… dovremmo anche dire che una famiglia adottiva dovrebbe parimenti tirarsi indietro rispetto all’adozione di un bambino quando la famiglia di origine ne chiede il rientro a casa.
Serve una revisione della legge 173?
Serve sicuramente un confronto su come la legge è stata attuata ma serve più in generale una riflessione sull’affido che non lo snaturi ma lo qualifichi. L’affido è accompagnamento e questa è la sua ricchezza. Un punto critico, nella vicenda di “Luca”, è per esempio il fatto che ci siano voluti quattro anni per decidere l’adottabilità di un neonato e che il suo “affido ponte” sia durato così a lungo. Bisognerebbe però sapere dal Tribunale, dai servizi affido del territorio e dall’associazione che ha seguito la famiglia cosa è davvero successo per determinare una situazione come questa. Tanti che in questo periodo commentano sui social evidentemente invece non hanno informazioni complete al proposito e i loro commenti appaiono per questo parziali.
In questo istante l’affido sta subendo cambiamenti e variazioni, se ne parlerà in modo diffuso anche nel convegno che il Tavolo Nazionale Affido sta organizzando per il prossimo 7 maggio. Al Coordinamento Care la riflessione sull’affido ponte, per esempio, preme in modo particolare, perché si tratta di affidi delicati e importanti, praticati ancora in poche regioni e, talvolta, neanche in tutte le province di una stessa regione.
Che cosa manca esattamente?
Servono luoghi di confronto tra la magistratura, i servizi, le istituzioni locali e le famiglie che vivono queste situazioni, che siano famiglie affidatarie o adottive, spazi continuativi di confronto, permanenti in ogni Regione, in cui si possa condurre una analisi non ideologica e approfondita dello stato attuale. Non si può ragionare di questi temi a colpi di comunicati o di post sui social. Nel passato non erano pochi i tavoli di confronto regionali, oggi invece sul territorio italiano sono molto poche le esperienze in questo senso: prima del Covid e prima di Bibbiano era diverso.
Foto di Kelli McClintock su Unsplash
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