Mondo

Contini: in Iraq Italia può svolgere importante ruolo di mediazione

L'Italia in Iraq può svolgere un "ruolo importante di grande mediazione e flessibilità, un potenziale tipicamente nostro", spiega l'ex governatore della provincia Dhi Qar.

di Paolo Manzo

L’Italia in Iraq puo’ svolgere un ”ruolo importante di grande mediazione e flessibilita’, un potenziale tipicamente nostro”. Ad affermarlo, parlando a margine di un convegno sulla Cooperazione organizzato a Catania nell’ambito del Prix Italia, e’ una persona che ha sperimentato sul campo la difficile realta’ irachena: Barbara Contini, ex governatore della provincia Dhi Qar, di cui fa parte Nassiriya. L’Onu parla di guerra illegale in Iraq? ”L’importante e’ che l’Italia abbia reagito in base alle disposizioni delle Nazioni Unite: siamo entrati dopo, ci comportiamo da tali”, replica la Contini, che sta per lasciare di nuovo l’Italia, questa volta per una missione nel Darfur. La nuova strategia dei sequestri? ”In tantissimi posti del mondo succede cosi’: si parla di liberta’, democrazia, pacificazione, ma da due generazioni a questa parte gli iracheni non sanno di che cosa si tratti”. Ma ”al 99% – aggiunge Contini, che sottolinea di essere ”venuta a galla ora” ma di aver ”attraversato 7 guerre e 33 Paesi” nelle sue missioni- gli iracheni sono persone splendide, che non ne possono piu’ della guerra, dei mortai o degli Rpg7. Questa gente non viene mai intervistata perche’ non vuole essere intervistata, e’ gente silente che desidera pace”. E per portare la pace in Iraq ”i governi piu’ importanti del mondo -sottolinea- hanno un dovere: essere tutti uniti e far conoscere la situazione alla gente attraverso l’informazione. Il terrorismo si e’ professionalizzato, prima ci sbrighiamo e meglio e’, prima individuiamo i problemi e prima capiamo come arginarli. E’ necessario, ancora, usare immediatamente il potenziale rappresentato dagli investimenti nella cooperazione allo sviluppo e mobilitare le imprese che commerciano con l’estero per creare ricchezza negli stessi Paesi che si trovano in condizioni di emergenza”. ”Se ho avuto mai paura mentre ero in Iraq? Non si ha paura, altrimenti si cambia lavoro. E poi non c’e’ tempo per aver paura, quando devi prendere decisioni delicate in pochi secondi perche’ hai grossissime responsabilita”’, conclude. ”Che cosa mi resta di quella esperienza? La voglia incredibile di continuare a fare il mio lavoro: da’ un’adrenalina splendida cercare di fare qualcosa per paesi post-guerra o in transizione o in via di sviluppo, perche’ e’ l’unico modo per uscirne”.


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