Non è retroattiva. Quindi bye bye Cirio e Parmalat. Associazioni relegate al ruolo di comprimari. Costi proibitivi. Risarcimenti come miraggi. Ecco come uno strumento pensato per i cittadini è stato trasformato in un sicuro vantaggio per le imprese scorrettedi Paolo Fiorio*
«Anche in Italia diventa finalmente operativo uno strumento di civiltà, essenziale per la tutela dei consumatori, già attivo in altri Paesi sviluppati». Così il ministro dello Sviluppo economico, Scajola ha commentato l’entrata in vigore della class action lo scorso 1° gennaio, aggiungendo che «da ora è più semplice, concreto ed effettivo l’esercizio dell’azione collettiva».
Lo zampino di Confindustria
Se è vero che le azioni risarcitorie di classe o collettive, meglio note nella versione americana della class action, sono uno strumento fondamentale per la tutela dei diritti dei cittadini, pare che il ministro sia eccessivamente ottimista sulle potenzialità dell’azione di classe, così come modificata nello scorso luglio su impulso del governo. Se già il testo precedente configurava uno strumento particolarmente debole, quello attuale pare aver recepito esclusivamente le istanze di Confindustria e delle altre organizzazioni imprenditoriali che miravano a rendere la class action italiana un’arma spuntata. Basti pensare alla cosiddetta irretroattività dell’azione che non consentirà di richiedere il risarcimento dei danneggiati lesi da comportamenti posti in essere prima dell’entrata in vigore della legge (Cirio, Parmalat, ma anche il caso delle polizze Cnp Vita, vedi articolo nella pagina accanto). Si tratta di una sciagurata invenzione che risponde alla sola finalità di proteggere le imprese dalle malefatte già poste in essere.Bene pubblico
Le azioni collettive risarcitorie sono strumenti essenziali per tutti i sistemi economici avanzati caratterizzati da rapporti di massa che non possono essere tutelati secondo una dimensione meramente individuale della giustizia. Il diritto di una collettività o di una classe di ottenere il risarcimento del danno subìto, senza che ogni danneggiato debba avviare un’azione individuale e sopportarne i costi (e quindi di fatto rimanere inerte), permette di conseguire alcuni fondamentali beni pubblici: la deterrenza dal compimento degli illeciti, la riparazione dei danneggiati, l’economia processuale. In altre parole, un buon livello di giustizia sociale ed economica.Gli Usa sono lontani
La nostrana azione di classe, pur ispirandosi fin dal nome alla class action statunitense, se ne distanzia su alcuni fondamentali profili la cui mancanza segna una distanza abissale tra un sistema particolarmente evoluto quale quello statunitense e l’Italia. Negli Stati Uniti la sentenza che decide la class action vale per tutti i danneggiati che non abbiano esercitato il recesso dall’azione, che non superano mai il 2 o il 3% dei danneggiati. In Italia il risarcimento sarà limitato ai soli consumatori che abbiano aderito all’azione, ovvero, specialmente per i danni di lieve entità, ad un’esigua minoranza. Molti consumatori ignorano di essere stati danneggiati, di poter agire in giudizio ed in ogni caso valuteranno attentamente il rapporto tra i costi, la perdita di tempo e i benefici attesi. L’adesione, seppur meno costosa di un’azione individuale, è un ostacolo che limiterà senza dubbio l’ammontare complessivo del danno risarcibile e, di conseguenza, l’effetto di deterrenza. Se si considera poi che per i medesimi fatti è proponibile una sola azione (altra aberrante novità) è evidente che la maggior parte dei danneggiati rimarrà a piedi, confinata nei giudizi individuali.Associazioni? No grazie
Le associazioni dei consumatori da veri (anche se non unici) protagonisti della tutela risarcitoria collettiva introdotta nel 2007 diventano meri comprimari, legittimati a rappresentare la collettività solo in presenza di un mandato conferito da un membro della classe che è l’unico soggetto legittimato ad aderire direttamente all’azione. Si tratta di una visione chiaramente individualistica e di sfavore per le organizzazioni che tutelano gli interessi collettivi dei cittadini, che altrimenti, forse, avrebbero assunto un ruolo sempre più scomodo per i cosiddetti poteri forti.Costi enormi
Ma perché un singolo consumatore che non ha mai né l’interesse né le risorse economiche per avviare un giudizio individuale dovrebbe sobbarcarsi un’iniziativa collettiva ben più costosa? Difficilmente (così come avviene negli Stati Uniti) saranno gli avvocati i veri propulsori dell’azione in quanto la nostra class action non introduce nessun serio incentivo economico per gli studi legali. Anche le associazioni non godono di migliore fortuna: ricevuto il mandato dal danneggiato si vedrebbero costrette a sopportare costi di gestione del processo enormi a fronte di una situazione instabile in quanto il consumatore può sempre revocare il mandato o transigere la lite con l’impresa con grandi vantaggi individuali e scarsi o nulli su scala collettiva. Tutto ciò senza alcun controllo non solo da parte dell’associazione ma anche del tribunale.I costi dell’azione sono potenzialmente enormi: il promotore deve infatti sostenere ed anticipare non solo i costi della difesa (avvocati, consulenti), ma anche quelli organizzativi per chiamare a raccolta i danneggiati, per dare pubblicità all’azione e per informare gli aderenti nel corso del giudizio. Se perde deve pagare le spese di soccombenza e se l’azione è dichiarata inammissibile può essere tenuto ad onerosi adempimenti pubblicitari.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.