Le vie alternative alla giustizia ordinaria per la soluzione delle controverse sono sempre più diffuse. E in alcuni Paesi, Italia in primis, diventano uno dei campi strategici dell’attività delle associazioni di Luca Zanfei
L ‘ Europa del consumerismo punta sempre più sulla conciliazione. Se prima la risoluzione negoziale delle controversie caratterizzava quasi esclusivamente i Paesi del Nord, ora anche nel resto degli Stati membri si scelgono strade alternative alla giustizia ordinaria. Secondo la ricerca Iulm – Consumers Forum «Europa e consumatori: modelli di relazione e cooperazione tra associazioni dei consumatori, imprese pubbliche e private e istituzioni nei Paesi dell’Unione Europea», presentata durante il convegno Europa e consumatori: l’esperienza di Consumers Forum , le associazioni dei consumatori sembrano gradualmente orientarsi verso il dialogo con le imprese nella difesa dei diritti del cittadino. Si passa dunque dalle aule giudiziarie ai tavoli di confronto tra le controparti, in cerca di una soluzione soddisfacente e a basso costo per imprese e cittadini.
Ovviamente la lettura del fenomeno cambia da Paese a Paese. Secondo l’indagine condotta su interviste ai rappresentanti di 20 Paesi membri del Gecc – Gruppo europeo consultivo dei consumatori, sarebbero le associazioni dei consumatori italiane, tedesche e portoghesi le più propense al dialogo con le imprese, tanto da arrivare in alcuni casi alla stipula di veri e propri accordi.
Mediazione di interessi
«In alcuni Paesi europei la cultura della conciliazione è molto diffusa e il conciliatore, cioè l’ombudsman, è una figura istituzionale che media direttamente tra cittadino e imprese, senza il bisogno di altri soggetti», afferma Anna Bartolini , rappresentante dell’Italia al Gecc presso la Commissione europea. «In realtà come l’Italia, invece, il fenomeno è giovane e sono ancora le associazioni a svolgere il ruolo dei mediatori. Mettiamoci anche che il nostro è il Paese con il più alto numero di controversie e si spiega il perché da noi il rapporto con le imprese diventa una vera strategia per le organizzazioni». Ma c’è forse un’altra spiegazione. «In Europa le associazioni dei consumatori sono storicamente più forti e credibili e grazie al funzionamento della giustizia possono permettersi di mantenere anche posizioni più rigide, limitando la mera mediazione di interessi», spiega Massimiliano Dona , segretario generale dell’Unione Consumatori. «Noi invece non possiamo fare altro che dialogare con le aziende per affermare il nostro ruolo nelle controversie e ottenere una certa credibilità nella soluzione delle inefficienze della giustizia».
A fare la differenza è, dunque, il grado di efficienza della giustizia e, in particolare, dello Stato. Dove è maggiore la tutela pubblica del cittadino cambia la consapevolezza dei propri diritti e, di conseguenza, anche il ruolo e le attività delle associazioni di settore. Se infatti, secondo l’indagine, nei Paesi del Nord il consumerismo risulta più orientato alla correzione dei fallimenti del mercato, per l’Italia e il Sud del continente sarebbero educazione e informazione gli obiettivi principali dell’azione. Dato confermato da un’altra interessante rilevanza e cioè il grado di relazione con le Authority. Il Rapporto evidenzia una maggiore propensione al dialogo e all’accordo con gli organi garanti, per le sole associazioni italiane e polacche. «Nel resto d’Europa è il cittadino che si rivolge direttamente alle Authority perché è informato e conosce gli strumenti di autotutela», sottolinea la Bartolini. «Da noi devono essere ancora le organizzazioni dei consumatori a raccogliere le istanze e presentarle alle Authority».
Pesa il contesto
Dunque, a caratterizzare il consumerismo è il livello di mediazione indotto dal contesto politico e culturale di ogni Paese. In Europa, per esempio, le associazioni di categoria sono spesso finanziate dallo Stato per svolgere una funzione di consulenza nei confronti delle istituzioni e di prevenzione per il cittadino, mentre in Italia ogni organizzazione deve sostituire il ruolo dello Stato e racimolare spicci da bandi pubblici e quote associative per poter sostenere la proprie attività.
Una condizione di precarietà che finora ha contribuito alla creazione di ben 17 organismi, ponendo il nostro Paese ai vertici della particolare classifica delle nazioni europee con il maggior numero di organizzazioni a tutela del consumatore. «A noi conviene frammentarci perché attualmente la legislazione italiana rende economicamente controproducente riunirsi in un’unica associazione», afferma Lorenzo Miozzi , presidente del Movimento Consumatori. Nel nostro Paese i fondi per la tutela del consumatore derivano direttamente dalle sanzioni comminate dall’Antitrust e poi trasferite alle Regioni dal ministero dell’Economia e dello Sviluppo, per progetti specifici. Alle associazioni dei consumatori non rimane che partecipare a bandi pubblici che «si basano su singoli progetti», continua Miozzi, «i cui criteri di aggiudicazione scoraggiano il raggruppamento. Meglio dunque partecipare da soli con la possibilità di avere più entrate. Come se non bastasse, buona parte del Fondo viene trattenuta dal Tesoro; si pensi che quest’anno, sui 400 milioni di euro a disposizione, solo 4 milioni sono stati dirottati alle associazioni».
Così non stupisce il perché negli ultimi anni il consumerismo italiano stia avviando forme di collaborazione intersettoriale, per evitare l’eccessivo isolamento. Un limite evidenziato peraltro dalla stessa indagine, che rileva un preoccupante disinteresse di tutte le associazioni europee per la collaborazione nazionale e internazionale. Tanto che oltre il 75% delle intervistate auspica forme di relazioni per il miglioramento della politica di tutela del cittadino.
«In Europa il Beuc è l’unica organizzazione internazionale dei consumatori, ma di fatto c’è poca collaborazione tra i Paesi», spiega Miozzi. «Qui in Italia, invece, qualcosa si sta muovendo, sono sempre più diffusi accordi tra le organizzazioni. In più stiamo portando avanti un discorso in comune per rivedere l’impianto legislativo e favorire le aggregazioni».
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