Welfare

CONGO. Medici Senza Frontiere denuncia l’incremento di violenza e barbarie

Drammatiche le testimonianze raccolte da Msf sulla situazione congolese. Il paese è masso sotto scacco dalle scorribande della Lord Resistance Army. Dure critiche alle Nazione Unite che sembra non onorino il proprio compito nel proteggere e salvaguardare

di Lorenzo Alvaro

Medici Senza Frontiere (Msf) opera nella città di Dungu, nella regione di Haut-Uélé, offrendo cure d’emergenza e occupandosi di evacuare i feriti nell’ospedale della città. Inoltre sostiene i centri di salute a Doruma, Bangadi, Faradje, Ngilima e Li-May. Il team di Msf che opera presso Dungu è costituito da sei operatori umanitari espatriati e da venticinque operatori congolesi. La situazione è da tempo precipitata. Decine di villaggi bruciati, centinaia di civili picchiati o feriti a morte, uomini, donne e bambini rapiti. La Lord Resistance Army (Lra) continua a perpetrare violenze contro la popolazione civile nella regione di Haut-Uélé nel nord est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). L’intensità di queste violenze ha spinto Msf a denunciare l’inerzia della forza di pace delle Nazioni Unite rispetto al suo compito di protezione della popolazione civile. Più di cinquanta tra villaggi e città nella zona nord-orientale congolese hanno subito gli attacchi della Lra dal 25 dicembre scorso: Tora il 21 gennaio, Taduru il 24, Awo il 28, Mangba il 30 e Ngilima l’1 febbraio. La maggior parte degli abitanti non ha altra scelta che quella di darsi alla macchia per sfuggire ai massacri. Queste persone attendono invano gli aiuti umanitari che non arrivano a causa dell’insicurezza diffusa. I pochi testimoni oculari confermano l’orrore di questi massacri. Un sopravvissuto ad un attacco avvenuto il giorno di Natale a Batandé nei pressi di Dorma, ha descritto il suo senso di impotenza contro la macellazione dei suoi cari: «Li hanno catturati e condotti in un campo e li hanno massacrati tutti. Nessuno è stato risparmiato: donne incinte, bambini, neonati, anziani. Più di sessanta persone sono rimaste uccise». «La conclusione che abbiamo raggiunto giorno dopo giorno sul campo, è che l’Lra sta continuando la sua indicibile violenza contro i civili», spiega Marc Poncin, coordinatore delle operazioni di Msf in Congo. «Ci aspettiamo altri massacri».
La Risoluzione 1856 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dello scorso 22 dicembre, prevede la protezione dei civili come priorità per le forze di pace delle Nazioni Unite in Congo (Monuc). La Monuc deve quindi assumersi le proprie responsabilità, e non può più continuare ad essere così assente quando vengono attaccati gli abitanti di Haut-Uélé». Sconvolti per l’estrema violenza dell’Lra, le equipe di Msf non comprendono l’immobilismo dei Caschi Blu delle Nazioni Unite nel proteggere la popolazione. Durante l’attacco del primo novembre 2008 a Dungu, i Caschi Blu sono rimasti nella loro base. Inoltre il contingente della Monuc non è mai intervenuto per proteggere la popolazione sotto attacco, anche se gli attacchi si sono moltiplicati. Il numero delle truppe delle Nazioni Unite è rimasto invariato dal luglio 2008, nonostante il drammatico peggioramento della situazione.
La loro attività non include l’evacuazione dei civili feriti, anche in aree inaccessibili alle organizzazioni umanitarie raggiungibili solo in elicottero. Ad esempio lo scorso 14 gennaio nei pressi di Duru, un bambino di un anno con ferite da arma non è stato trasportato nell’ospedale di Dungu dalla Monuc, che pure è fornita di elicotteri. L’insicurezza che regna in tutta la regione di Haut-Uélé rende impossibile l’azione umanitaria al di fuori della città di Dungu. Il rischio di attacchi a sorpresa è troppo grande. Equipe di Msf, in diverse occasioni, hanno tuttavia raggiunto in aereo Faradje, Doruma e Bangadi per portare cure d’emergenza ai feriti. I team sono rimasti sul terreno solo alcune ore per trattare i feriti. Mentre le vittime di questi attacchi sono salite a 900, Msf è stata in grado di trattare solo 17 sopravvissuti che riportavano ferite da taglio. «Quando siamo arrivati a Faradje, due giorni dopo l’attacco», racconta Mathieu Bichet del team medico, «abbiamo trovato solo quattro feriti. Erano così gravi che sono stati certamente lasciati vivi perché considerati spacciati». Più di 140 persone sono state assassinate in questo attacco.

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