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Congo, il viaggio del Papa faccia luce sugli orrori del Paese

107 associazioni italiane della società civile hanno lanciato un appello, in vista della visita di Papa Francesco in Congo, per spiegare cosa sta succedendo nel "cuore di tenebra" dell’Africa e per riportare l'attenzione su una guerra che sta devastando il Paese da oltre 30 anni

di Fabrizio Floris

«Le cose crollano, il centro non può reggere, mera anarchia è scatenata sul mondo. La corrente torbida di sangue è scatenata, ovunque il rito dell’innocenza è sommerso. Ai migliori manca ogni convinzione, mentre i peggiori sono pieni di appassionata intensità». Sono parole che William Butler Yeats ha scritto nel 1919, ma sembrano scritte oggi per descrivere le sorti del Congo un Paese dove la guerra sembra essere una malattia endemica che nessuno riesce a sradicare. C’è un silenzio complice a livello internazionale e come sanno le mamme quando i bambini non si sentono significa che bisogna preoccuparsi.

Per questo 107 associazioni italiane della società civile (tra cui Agesci, Libera, Comunità Giovanni XXIII, Pax Christi, Stop the war now, Rete pace disarmo, Tavola della pace, Cipsi, ordini missionari) hanno lanciato un appello in in vista della visita di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo (e in Sud Sudan dal 31 gennaio al 5 febbraio), per spiegare cosa sta succedendo nel “cuore di tenebra” dell’Africa e per far vedere quali connessioni ci sono tra la periferia e il centro dell’informazione. Le organizzazioni chiedono che vi sia una smobilitazione e smilitarizzazione della Regione del Nord e Sud Kivu: togliendo terreno al Movimento M23 e agli oltre 100 gruppi ribelli presenti nell’area con la realizzazione di un programma concreto di disarmo, smobilitazione e la reintegrazione dei combattenti nella società civile.

“La sua venuta è stata lungamente attesa dal popolo congolese, di ogni appartenenza religiosa”, si legge in un estratto della lettera che le organizzaizoni hanno inviato al Papa. “Perché chi si sente fra i dimenticati della storia, trova un soffio di speranza presso chi gli si fa prossimo. Perché, attraverso di lei, il mondo potrà alfine guardare alla sofferenza senza fine di questo popolo, soprattutto all’est, e mettere in atto strumenti che sanzionino gli aggressori e scoraggino la guerra”.

Secondo uno dei promotori il professore congolese Pierre Kabeza «la guerra che vediamo può essere paragonata ad un albero, c’è una parte che si vede le foglie, i rami, questi sono in tanti movimenti ribelli, poi c’è il tronco, i Paesi vicini Ruanda, Uganda, Burundi, ma la linfa, le radici sono gli interessi internazionali».

Anche secondo padre Giovanni Piumatti che ha vissuto 50 anni nella zona del Kivu «la guerra in Congo è una guerra europea, l’Europa è il primo responsabile […]. L’Africa è ricca siamo noi che abbiamo bisogno dell’Africa. Ne hanno bisogno le nostre aziende, i nostri consumatori. Dove vivevo abbiamo sempre vissuto con l’occupazione dei gruppi ribelli, la guerra ha sfasciato la società, ha compromesso i suoi valori intrinsechi, pochi giorni fa hanno bruciato vivi dei ladri, i capi villaggio non ci sono più. Eppure posso dirvi che ci sono centinaia di ragazzi nei gruppi ribelli che vorrebbero lasciare, almeno un migliaio solo nella zona di Butembo, ma serve una possibilità di accoglienza che possa permettere il reintegro altrimenti dopo poche settimane ritornano a prendere il fucile».

Micheline Mwendike del movimento La Lucha ha spiegato: «Io la guerra me la porto con me, sono figlia di guerra. Posso dire che la guerra mi ha insegnato che non è la soluzione, ti fa sempre perdere sono 30 anni che siamo sempre lì: la guerra è fallita». L’attivista congolese John Mpaliza ha sottolineato la strategicità del Congo per le sue risorse minerarie in particolare coltan, cobalto necessari per telefonini e batterie delle auto elettriche, «è necessario che vi sia una legge efficace sulla tracciabilità di questi minerali, quella attualmente in essere in Europa non
funziona», ha detto.

Beppe Giulietti presidente dell’Ordine dei Giornalisti ha ricordato il discorso del Papa fatto ieri in occasione della festività di San Francesco di Sales patrono di giornalisti mettendo in evidenza la necessità di «camminare, andare a vedere, non è un appello retorico perché se non sei capace di illuminare le periferie
non capirai neanche il centro del mondo».

«Le tenebre scendono ancora», ha continuato William Butler Yeats. «Eppure ci sono anche grandi aspettative, la conclude padre Giovanni Piumatti la gente ha portato avanti la vita anche in queste difficoltà». C’è grande speranza che la visita del Papa porti veramente qualcosa di nuovo o per dirla con Yeats un “secondo Avvento”.

Credit foto Fabrizio Floris

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