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Congo: Goma cade nelle mani dei ribelli

di Giulio Albanese

I ribelli congolesi del movimento “M 23” hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Goma, nel settore orientale della Repubblica Democratica del Congo. I miliziani dell’M23, sono un gruppo formatosi quest’anno con l’appoggio del governo di Kigali. Il piano è quello elaborato anni fa dal presidente ruandese Paul Kagame: l’annessione dei territori congolesi al confine col Paese delle Mille Colline, una delle zone dell’Africa Subsahariana più ricca di minerali e fonti energetiche. Secondo le Nazioni Unite, i ribelli hanno rapito donne e bambini e ferito diversi civili, ma i caschi blu controllerebbero ancora la zona dell’aeroporto di Goma. Intanto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha nuovamente condannato le “gravi”violazioni dei diritti umani perpetrati dai ribelli dell’M 23, chiedendo nuove sanzioni nei confronti del gruppo armato filo-ruandese. È bene rammentare che il regime di Kigali gode del sostegno di alcuni Paesi occidentali, soprattutto anglosassoni, che hanno forti interessi nello sfruttamento a basso prezzo delle ricchezze del sottosuolo congolese. Ciò che personalmente trovo aberrante è la latitanza della comunità internazionale che finora ha assunto un atteggiamento estremamente ambiguo nei confronti di Kagame, un personaggio “pericoloso” per l’intera Regione dei Grandi Laghi. Emblematica, a questo riguardo, è la pubblicazione del rapporto “Mapping human rights violations 1993-2003”, stilato dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani e frutto di una lunga inchiesta avviata dopo il ritrovamento di tre fosse comuni nel Nord Kivu, alla fine del 2005. Il documento parla di “attacchi sistematici” delle forze ruandesi contro i rifugiati hutu, “così come pure contro i civili congolesi”, che potrebbero essere qualificati come “genocidio”, “se comprovati davanti ad un tribunale competente”. A questo proposito va ricordato che non è un caso se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non rinnovò nel 2003 l’incarico a Carla Del Ponte, che guidava la procura del Tribunale penale per i crimini in Rwanda. L’ipotesi di aprire inchieste anche sul Fronte patriottico ruandese (Fpr) di Kagame – preannunciata dal magistrato elvetico – suscitò infatti le ire del regime di Kigali, che riuscì abilmente a fare pesare le sue influenti amicizie a Washington e dintorni. In definitiva, se da una parte è vero che a morire in Rwanda, dall’aprile del 1994, furono prima centinaia di migliaia di tutsi, l’etnia minoritaria vessata impunemente dalle milizie Interahamwe, oltre a un numero non indifferente di hutu moderati, il gruppo etnico demograficamente maggioritario e fino ad allora dominante; dall’altra, è innegabile che si arrivò poi alla vendetta dei vincitori, i quali passarono all’arma bianca non solo i loro acerrimi nemici, ma anche tantissimi profughi hutu, perpetrando una vera pulizia etnica, soprattutto nelle foreste dell’ex Zaire. Kagame è dunque un soggetto pericoloso e va fermato prima che sia troppo tardi.

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