Tornano a soffiare i venti di guerra nella regione congolese del Nord Kivu. Infatti, come già scritto su questo blog, una legione di miliziani del potente signore della guerra Laurent Nkunda, raggruppati nel Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp) – una formazione congolese banyamulenge di origine tutsi – hanno conquistato zone strategiche intorno al capoluogo regionale di Goma. E questi agguerriti combattenti potrebbero entrare nella città congolese da un momento all’altro senza problemi, non appena il contesto internazionale lo consentisse con l’appoggio del vicino Rwanda. Sta di fatto che Kinshasa accusa le truppe di Kigali di essere già penetrate ripetutamente negli ultimi 10 giorni nel Nord Kivu, ma il governo ruandese smentisce. Una situazione di rischio estremo, come ha dichiarato senza mezzi termini il ministro degli esteri francese Bernard Kouchner il quale ha evocato senza mezzi termini “il rischio di nuovi estesi massacri” in una terra già duramente provata dalle violenze nel passato. Dietro le quinte vi sono certamente ragioni etniche ma soprattutto legate al controllo delle immense risorse minerarie del Kivu. D’altronde tutti gli analisti concordano: finché non sarà data al piccolo Rwanda (densamente popolato) la possibilità di usufruire in parte delle sconfinate ricchezze del gigante congolese – veri e propri tesori di poco oltre un confine geograficamente inesistente – l’intera Regione dei Grandi Laghi continuerà ad essere una polveriera in cui gli interessi stranieri costituiranno un fattore altamente destabilizzante. È bene rammentare che nella seconda guerra congolese, quella esplosa il 2 agosto del 1998 e durata 5 anni, persero la vita 4 milioni di persone. Da questo punto di vista, sarebbe ora che la comunità internazionale uscisse allo scoperto denunciando i soprattutto i soprusi perpetrati contro l’inerme popolazione civile.
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