In un mondo di connessioni virtuali, esiste una connessione tragicamente reale tra i nostri smartphon, tablet, prodotti digitali e la sanguinosa guerra decennale nella Repubblica Democratica del Congo. E’ un orrore senza fine quello che sta avvenendo, nel silenzio dei media internazionali, nella zona orientale del Kivu, una delle più belle e ricche di risorse dell’intera Africa: petrolio, diamanti, coltan. Praticamente la sua dannazione. In particolare il coltan, una sorta di sabbia nerastra data da una combinazione di columbite e tantalite, della quale il sottosuolo del Congo è una delle maggiori riserve mondiali, dal quale si estrae il tantalio, un componente necessario a ridurre il consumo di energia nei chip di ultima generazione, usati nell’elettronica digitale. Una fonte immensa di guadagno in una terra “di nessuno” contesa tra il governo legittimo, ma corrotto, del Congo e gruppi paramilitari protetti e sostenuti (come denunciano diversi rapporti ONU) da paesi confinanti come il Rwanda e l’Uganda.
Alle spalle dei combattenti ci sono le multinazionali che comprano dai “signori della guerra” la preziosa materia prima insanguinata, rivendendola agli avidi produttori internazionali di tecnologia, e i mercanti di armi che riforniscono tutte le truppe in campo, regolari e non, debitamente ricompensati. Al di sopra c’è una comunità internazionale indifferente, incapace di porre fine alla tragedia – rappresentata dalle impotenti Nazioni Unite pur presenti con 20.000 caschi blu – quando non direttamente collusa con le parti in lotta e gli interessi in campo. In mezzo c’è la popolazione civile, martoriata e massacrata. Dal 1996 ad oggi si contano circa 8 milioni di morti, migrazioni bibliche di profughi, lo stupro sistematico come arma di guerra, i bambini assoldati nelle milizie per uccidere e morire oppure costretti a lavorare a mani nude in miniera, fin dai 7-8 anni. Orrori senza fine, che a stento trovano – qualche volta – la via dei media internazionali.
In Italia è eccezionalmente accaduto pochi giorni fa a Ferrara dove la giornalista radiofonica congolese Chouchou Namegabe, coordinatrice della Afem Association des femmes des médias du Sud Kivu, Rdc, ha vinto il premio giornalistico promosso dalla rivista Internazionale, intitolato ad Anna Politkovskaja, ed ha fatto un racconto drammatico della situazione del suo paese, in particolare dei soggetti più vulnerabili e vulnerati, come le donne e i bambini, descrivendo episodi di incredibile e inaudita crudeltà (qui la registrazione a cura di Radio3Mondo)
Sta accadendo ancora in questi giorni con la settimana internazionale “Congo Week”, dal 19 al 26 ottobre, promossa dall’organizzazione Friends of the Congo, significativamente intitolata Breaking the silence, rompiamo il silenzio, che vede l’appuntamento più significativo del nostro Paese a Reggio Emilia, a cura di Peacewalkingman , ossia dell’infaticabile camminatore per la pace John Mpaliza Balagizi che da 3 anni attraversa a piedi l’Italia e l’Europa per sensibilizzare sulla situazione in Congo. Obiettivo del Congo Week è fare una breccia nel muro di silenzio che circonda questa guerra dimenticata e promuovere l’adozione di una normativa internazionale (analoga a quella per i diamanti) che preveda un percorso di tracciabilità per il coltan.
Poiché questo avverrà solo se si mobiliterà a questo scopo la società civile internazionale, per essere liberi di scegliere domani prodotti digitali disconnessi dalla guerra è necessario connettersi oggi con la consapevolezza, partecipando alle iniziative di informazione, denuncia e verità sulla situazione della Repubblica Democratica del Congo.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.