Economia

Congo-Brazzaville: lo scandalo debito-petrolio

Il governo congolese accusato di malversazioni finanziarie per dissimulare introiti petrolferi destinati a rimborsare il proprio debito pubblico

di Joshua Massarenti

Una partita a scacchi ad alto valore aggiunto. E’ quella che si sta giocando il regime congolese con i proprio creditori nel dirottare parte degli introiti petroliferi destinati ad alleviare un debito pubblico di proporzioni bibliche a favore di una clicca ristrettissima di amici e parenti vicini al regime del presidente Sassou-Nguesso. Secondo un articolo apparso sul sito di Radio France Internationale, “il governo ha ammesso di nascondere i suoi introiti petroiferi per “correre al riparo di creditori falchi” accusati di voler conquistare”. i conti del governo”. “Siamo braccati” ha accusato ieri il primo ministro congolese Isidore Mvouba, “dei creditori sono alla ricerca perpetua di fondi pubblici del Congo Brazzaville per costringerci a rimborsare il nostro debito. Siamo quindi costretti a proteggere i nostri soldi con operazioni finanziarie a volte poco ortodosse”. Le ammissioni del premier congolese prende seguono un’inchiesta della giustizia inglese secondo la quale il regime di Sassou-Nguesso sarebbe protagonista di operazioni finanziarie complesse tese a dissimulare presso i propri creditori gli introiti petroliferi del Congo-Brazzaville a favore di personaggi vicini al potere. Ma Mvouba non ci sta. Apparentando i creditori del Congo-Brazzaville a “veri e propri falchi”, il primo ministro congolese punta il dito contro “società finanziarie internazionali che hanno acquistato i debiti del Congo per poi chiederne il rimborso per via giudiziaria”. Ora, “le nostre risorse sono molto limitate”. Le accuse di Mvouba sono le stesse portate avanti dal regime congolese nel corso di un processo perso contro alcuni suoi creditori. All’epoca, la giustizia inglese aveva denunciato il Congo-Brazzaville di ricorrere a società fittizie con lo scopo di non rimborsare parte del proprio debito estero. Una sentenza corroborata da un’inchiesta portata avanti da Global Witness nella quale l’ong britannica accusa lo Stato di dilapidare il budget statale a favore di società che fanno capo a personaggi molto vicini all’attuale potere.


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