La situazione sta drammaticamente precipitando nella Repubblica Democratica del Congo e la comunità internazionale sembra essere impotente di fronte alle devastazioni perpetrate dagli opposti schieramenti. Testimonianze concordi raccolte sul campo segnalano la presenza di soldati regolari dell’Angola e dello Zimbabwe al fianco delle truppe governative nella regione orientale del Nord Kivu. Al contempo, analoghe informazioni provenienti dalla società civile indicano la presenza di soldati ruandesi al fianco del ribelli, che continuano inesorabilmente ad avanzare. Dunque non si tratta più di una “guerra civile” avendo ormai la crisi armata acquisito una valenza panafricana; uno scenario che fa sembrare possibile una riedizione della seconda guerra congolese esplosa, dieci anni fa, il 2 agosto del 1998.Il cerchio si stringe attorno alla città di Goma, mentre si cercano soluzioni politiche, grazie anche al coinvolgimento dell’inviato speciale dell’Onu Olusegun Obasanjo. Il leader dei ribelli, Laurent Nkunda chiede negoziati diretti col governo di Kinshasa che fa orecchie da mercante, rifiutando l’offerta che, per certi versi, legittimerebbe Nkunda. E lui replica minacciando di marciare su Kinshasa per rovesciare il presidente Joseph Kabila. In questo contesto di grande sofferenza e incertezza, non lascia adito a fraintendimenti di sorta la coraggiosa denuncia dei vescovi cattolici congolesi secondo cui è in atto un genocidio silenzioso, messo in atto con crudeltà inaudita. Secondo i presuli, la violenza fa parte di un piano di spartizione del Paese e delle sue straordinarie risorse minerarie… Martin Luther King diceva di non aver paura delle parole dei violenti, ma del “ silenzio degli onesti”.
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