Società

Congedo di paternità, triplicate le richieste negli ultimi dieci anni

Save the Children ha elaborato i dati Inps relativi al periodo 2013-2022. Emerge un ritratto ben definito di genitore al maschile che si occupa dei figli: trentenne, prevalentemente del Nord Italia, con un lavoro stabile in un'impresa di media o grande dimensione e un reddito medio-alto

di Redazione

Permane un forte squilibro di genere tra i due genitori nella cura dei figli, ma i dati Inps elaborati da Save the Children mostrano che la percentuale di padri che usufruisce del congedo di paternità si è più che triplicata fra il 2013 e il 2022. Da questo lavoro emerge un ritratto abbastanza definito del beneficiario: ha più di 30 anni, vive al Nord, lavora in imprese di media o grande dimensione con un contratto di lavoro stabile, ha un reddito medio-alto. E se oggi sono ancora le donne a dover rinunciare alla carriera o addirittura al posto di lavoro perché il carico di cura risulta spesso un impedimento alla loro vita professionale, qualcosa nell’universo della paternità si muove e anche in maniera costante.

L’elaborazione, diffusa in vista della Festa del Papà del 19 marzo, dice tanto altro. Nel 2013, poco meno di un padre su cinque (pari al 19,25%, cioè 51.745 uomini) ne ha usufruito, mentre nel 2022 sono stati più di tre su cinque (il 64,02%, vale a dire 172.797 padri), con poche differenze a seconda che si tratti di genitori del primo (65,88%), del secondo o di figli successivi (62,08%). Alla sua introduzione, nel 2012, il congedo di paternità prevedeva un solo giorno obbligatorio e due facoltativi, mentre oggi garantisce 10 giorni obbligatori e uno facoltativo ai neopapà ed è fruibile tra i due mesi precedenti e i cinque successivi al parto.

Esistono tuttavia ancora forti differenze nell’utilizzo del congedo di paternità, che varia a seconda dell’età, della tipologia contrattuale, della dimensione aziendale, del reddito e dell’area di residenza. Sebbene l’incremento nell’utilizzo di questo diritto all’astensione lavorativa si registri in tutta l’Italia, chi ne usufruisce di più vive nelle province del Nord, mentre il tasso si abbassa in quelle del Mezzogiorno. Valori di fruizione inferiori al 30%, si riscontrano nelle province di Crotone (24%), Trapani (27%), Agrigento e Vibo Valentia (29% in entrambe le province), mentre valori superiori all’80% (i più elevati), si registrano nelle province di Bergamo e Lecco (81% in entrambi i casi), Treviso (82%), Vicenza (83%) e Pordenone (85%).

Ad utilizzare maggiormente il congedo sono gli uomini nelle fasce d’età comprese fra i 30 e i 39 anni (65,4%) e fra i 40 e i 49 (65,6%). Inoltre, è più probabile che il padre usufruisca del congedo di paternità se lavora in aziende medio-grandi. Fra quelle con oltre 100 dipendenti, infatti, l’utilizzo è pari al 77%, mentre scende al 67,8% in quelle che hanno fra i 51 e i 100 dipendenti, al 60% fra quelle che hanno fra i 16 e i 50 dipendenti, fino ad arrivare al 45,2% nelle aziende con 15 dipendenti o meno. Eppure, è proprio in questa ultima tipologia di azienda che si è registrato l’aumento maggiore nell’utilizzo del congedo di paternità tra il 2021 e il 2022 (più 8,7%).

«Il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli sta cambiando, anche se lentamente, anche in Italia, a favore di una maggiore condivisione delle responsabilità», afferma Giorgia D’Errico, direttrice Affari pubblici e relazioni istituzionali di Save the Children. «È necessario sostenere questo cambiamento, andare nella direzione di un congedo di paternità per tutti i lavoratori, non solo i dipendenti, garantendo che i datori di lavoro adempiano all’obbligo di riconoscere tale diritto, e fino ad arrivare all’equiparazione con il congedo obbligatorio di maternità. Una misura, questa, anche a sostegno delle neomamme, in un periodo della vita che troppo spesso si rileva difficile e caratterizzato da sentimenti di inadeguatezza e solitudine, come emerge anche da una indagine campionaria promossa nel 2023 da Save the Children. È essenziale incoraggiare i nuovi padri nella piena condivisione della cura dei figli, eliminando, al contempo, i tanti ostacoli che ancora oggi bloccano l’ingresso e lo sviluppo professionale delle madri nel mondo del lavoro».

Nella fruizione dei congedi di paternità si rilevano forti disuguaglianze tra le diverse tipologie contrattuali, a favore di chi ha un contratto di lavoro più stabile. Se infatti, tra i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato la percentuale sfiora il 70% (69,49%), tra quelli con contratto a tempo determinato scende al 35,95%, mentre tra gli stagionali arriva solo al 19,72%. Per quanto riguarda le fasce di reddito, invece, l’utilizzo del congedo di paternità è più diffuso tra i padri con un reddito compreso fra i 15mila e i 28mila euro (73,3%) e fra quelli con reddito superiore a 28mila euro e inferiore a 50mila (85,68%). La correlazione positiva tra reddito e utilizzo del congedo di paternità, però, si interrompe a partire dai redditi di 50mila euro (tra chi ha un reddito superiore a questo importo ne usufruisce il 78,63%).

Save the Children Italia, attraverso i suoi programmi dedicati all’area della prima infanzia e rivolti ai bambini e alle bambine tra 0 e 6 anni, realizzati in partenariato con organizzazioni territoriali competenti e qualificate, agisce, fin dalla gravidanza, per sostenere le situazioni più critiche e per tutelare i diritti delle bambine e dei bambini e promuovere il loro benessere, con l’obiettivo di non lasciarne indietro nessuno.

Fiocchi in ospedale” è un programma di intervento precoce, durante i cosiddetti primi 1.000 giorni. È dedicato quindi ai neonati e alle loro famiglie e prevede l’offerta di un servizio di bassa soglia per l’ascolto, l’orientamento, l’accompagnamento e la presa in carico. Si rivolge ai futuri e neogenitori, in particolare quelli che patiscono una situazione di vulnerabilità sul piano socioeconomico, culturale o psicologico. “Fiocchi in ospedale” è oggi presente direttamente in 14 strutture ospedaliere di sette città e in altre due attraverso le sue reti territoriali.

All’azione di identificazione e supporto precoce, si affianca l’offerta di spazi accoglienti, dedicati alle famiglie con bambini tra 0 e 6 anni, dove ricevere supporto, scambiare esperienze e condividere momenti di gioco. Si tratta del programma “Spazio Mamme”, per accompagnare gli adulti di riferimento, costruire con loro percorsi di autonomia e sperimentare modelli di attivazione delle comunità territoriali e dei servizi di cura, educativi, culturali e di sostegno sociale. Attualmente ci sono 13 “Spazi Mamme” attivi su tutto il territorio italiano.

Infine, Save the Children ha sviluppato aree ad alta densità educativa per la prima infanzia, attraverso la creazione di poli educativi territoriali che vedono una stretta collaborazione tra i Comuni e le agenzie educative presenti: nidi e scuole dell’infanzia, servizi integrativi per la prima infanzia e i progetti di Save the Children e dei suoi partner. I poli educativi sorgono all’interno di scuole d’infanzia comunali e statali, con l’obiettivo di favorire la continuità dell’esperienza educativa dal nido alla scuola dell’infanzia (ove possibile), di ampliarne l’offerta educativa pomeridiana, di garantire l’accesso a esperienze educative precoci in quei luoghi in cui le opportunità extra-scolastiche e gli asili nido, strumenti fondamentali per il contrasto alle diseguaglianze, scarseggiano. I poli propongono, inoltre, percorsi di supporto alla genitorialità e consulenze con professionisti a sostegno del benessere del nucleo familiare.

Credits: le foto sono di Alessio Romenzi

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