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Confronto a tre al convegno di Marina di Massa. La politica made in Lilliput

Un testa a testa appassionante tra Marco Revelli, Mario Agostinelli e Alex Zanotelli. È accaduto nel corso della tre giorni che la rete ha organizzato in Toscana.

di Ettore Colombo

Un dibattito così era davvero tempo che non lo sentivamo. Il politologo Marco Revelli, il sindacalista Mario Agostinelli e il fondatore di rete Lilliput, padre Alex Zanotelli si sono messi intorno a un tavolo a Marina di Massa, in Toscana, invitati dalla Rete che discuteva di politica, e hanno dato vita a una di quelle discussioni sui massimi (e minimi) sistemi che fanno bene al cuore, oltre che alle orecchie e al cervello, in mezzo a tanto – per lo più inutile – chiacchiericcio politicista. Revelli, che in queste cose è un maestro, ha preso il toro per le corna e cominciato a demolire le parole di uso corrente, in politica: «Movimento e anche Movimento del movimento sono parole vecchie, morte, consunte dalla storia del Novecento e prima dell?Ottocento. Allora contenevano una forza e una potenza sociale, una omogeneità ideologica-culturale. Movimento operaio studentesco. Oggi sono gusci vuoti. Abbiamo di fronte invece una galassia polifonica in cui i linguaggi e i temi si differenziano e sono fatti di tanti mondi diversi. Le operazioni di uniformazione, politiche e linguistiche, la essiccano. Anche il termine ?società civile? non va più bene: in parte si è degradata, in parte atomizzata». Alternative? «La molteplicità dei microgruppi e delle microrealtà radicate nel locale che si pongono concretamente di fronte ai problemi e cercano d?intervenire ?qui e ora?». Il tema dell?altro Ecco la forza di uno strumento come la rete Lilliput, dunque, dice Revelli, «esempio perfetto del mix locale-globale che sa tenere alta la barra della nonviolenza e vuole reinventare la politica». Ma se non ha più senso «cercare di imporre con la violenza la pace», si chiede Revelli, quali le vie d?uscita, di fronte alla possibilità del male assoluto e della distruzione possibile dell?umanità stessa? «Inventare nuove forme, idee e rapporti della politica, proprio come fa Lilliput», suggerisce, «confrontandosi con il tema dell?altro, estraneo a tutto il pensiero politico moderno: smettere di vedere l?io, o al massimo l?io che, per sua debolezza, si trasforma in un noi massificato, per imparare a vedere, in un complesso gioco di sguardi, l?altro e noi stessi con lo sguardo dell?altro imponendosi dunque in un?ottica antropologica dove il problema non è come stare ?nella? politica, ma quello d?inventarsi una politica altra, a partire dalla definizione delle relazioni tra me e gli altri«. Mario Agostinelli, sindacalista della Cgil di lunga esperienza e grande mitezza, oggi nel Forum sociale mondiale, decide nel suo intervento di affrontare di petto la drammaticità della fase attuale, dal «sequestro di democrazia e di rappresentanza alla dittatura dell?economia» e sprona la Rete «non a sporcarsi un po?, con la politica, ma a farlo del tutto, come fa, anche sbagliando, il movimento. Di fronte a un potere opprimente e in tempi che ci rendono esausti, molti lasciano la politica in uno stillicidio continuo, lento, silenzioso, ma non bisogna arrendersi e l?esito finale è ancora aperto». Il polo alto/basso Per Agostinelli, che cita – come Revelli – un libro che a questo punto tutti dovremo leggere, L?arte di non essere governati di Krippendorff, «la politica è critica pubblica: se la si fa, già si assolve al problema della crisi della rappresentanza, considerando anche che la politica non dice la verità, oggi, ma che invece bisogna riportarla proprio a quello, a una dimensione di verità». «Pochi, come Lilliput», sprona il suo uditorio Agostinelli, «fanno della partecipazione un elemento costitutivo, molto più forte del semplice andare a votare ogni cinque anni, ecco perché ho tanta fiducia in voi. Ecco perché oggi credo molto di più nel polo alto/basso che in quello destra/sinistra». Uno schema, quello alto/basso, che anche Zanotelli riprende con forza: «Con le bandiere della pace siamo partiti da un piccolo, semplice, gesto, ideato dal nodo di Bologna, e abbiamo cambiato la posizione dell?Italia sulla guerra che ha dovuto tener conto dello straordinario movimento che era nato. La politica è morta, ha ragione Revelli, è diventata parte essenziale di una rottura finanziaria e militarizzata che ci toglie spazio, tranne forse che nel piccolo, nelle comunità locali, dove ancora grazie ad essa si può incidere. Né c?è più nulla di cristianamente positivo nell?Europa, come dice Agostinelli, ma ciò non toglie che dobbiamo tornare comunque ad essere ?soggetti politici?. ?Società civile?, anche se ?organizzata?, non va più bene, è parola logora, ormai: chiamamola ?democrazia viva?, allora, come in America, oppure ?cittadinanza attiva?. Troviamo termini che ci rappresentino ma torniamo a fare la politica vera, non quella dei partiti, dei sindacati né delle organizzazioni sociali fiancheggiatrici di questi. Ripartiamo dai singoli individui, dalle nostre e altre reti, associandole. Frammenti di mondo che devono riprendere un cammino comune, diventare soggetto politico libero e da lì in poi trattare con la politica che non ci piace, quella di partiti e organizzazioni sociali». Il ?salto di qualità? chiesto a Lilliput da Zanotelli forse viene davvero assieme alla ?rottura antropologica? che propone Revelli e alla ?assunzione di responsabilità? cui sprona Agostinelli. Che, alla fine, con una battuta, dice: «Basta con il voto di castità verso la politica, ragazzi miei». Come a dire: se ci si sporca, meglio farlo per intero. O si salta o non si salta affatto. Chissà se sono pronti, i lillipuziani, a cambiare cosucce come modi e mondi della politica. Ma se non loro, chi?


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