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Conflitti di un cuore ferito. (sono tornata single)

Risvolti privati di un dramma senza confini

di Redazione

Dopo mesi di litigate con il mio fidanzato, ho deciso di dedicarmi alla mia vita da single. Ho cercato di dare delle soluzioni alla mia lotta sentimentale personale attraverso elementi più grandi di me, addirittura girandomi verso la sfera del mondo…di Oussal Mejri
«Io per me prego il mio acerbo dolore, Non sian da me le lacrime contese, Ma mi sia di sospir tanto cortese, Quanto bisogni ad isfogare il core». Nulla è cambiato con gli anni; oggi, anno 2009, leggendo le parole di Lorenzo Giacomini nel De la purgazione de la tragedia (1804) ritrovo la mia situazione sentimentale. Mescolanza di piacere, di sospiri e di lacrime: questi sono i piaceri degli amanti. Dopo mesi di conflitto con il mio fidanzato alternati tra l’amore e l’odio, due sentimenti correlati ma altrettanto forti, ho deciso di dedicarmi alla mia vita da single. Nelle vesti di Curry di Sex and the City, trasportata da New York a Bologna, ho deciso di dedicare tutto il tempo libero alle mie passioni. Le mie giornate sono divise tra teatro, cinema, televisione, patatine fritte e bevande gassose. Ho cercato di dare delle soluzioni alla mia lotta sentimentale personale attraverso elementi più grandi di me, addirittura girandomi verso la sfera internazionale, seguendo le guerre in corso, che mi coinvolgono altrettanto. L’arte è la mia medicina personale: il migliore rimedio per curare le sofferenze.

Convivere nell’arte e nella realtà?
Il 23 gennaio, al festival «Senza Frontiere: una finestra sul without borders film festival» ho visto un documentario intitolato Knowledge is the beginning: il primo passo da compiere è quello di conoscersi. Si tratta di una produzione documentaristica sulla West-Eastern Divan Orchestra, un gruppo musicale di giovani arabi ed israeliani che vivono, lavorano, viaggiano insieme, fondata dagli intellettuali Daniel Barenboim ed Edward Said. Due intellettuali, uno israeliano e l’altro palestinese, che, nonostante la guerra tra i loro due Paesi, hanno messo da parte la politica e hanno cercato di interagire e cooperare come è nella natura umana. Questo gruppo eterogeneo suona Mozart, Schumann, Beethoven, da Berlino a Siviglia passando anche da Ramallah. Da questo racconto ho dedotto che il primo passo da fare è quello di aprirsi all’altro ed essere curiosi di conoscere la realtà di chi abbiamo di fronte provando a cancellare i pregiudizi. Però ricordiamoci che ci deve essere la volontà di comunicare e non di costruire una barriera, un muro.
A questo proposito, mi torna in mente il documentario Il Muro di Simone Bitton, vincitore al Festival di Pesaro, che è una riflessione sul conflitto israelo-palestinese. La costruzione di una barriera, in questo caso non nel senso metaforico, è una separazione definitiva, un passo senza ritorno. La regista si è soffermata sul valore politico che rappresenta questo muro per il popolo israeliano. E la via giusta quella di recintare il proprio territorio?

Ridere dei drammi
li rende meno drammatici?
Il mio viaggio, iniziato alla ricerca di risposte, non finisce qui. La settimana dedicata alla memoria delle vittime dell’Olocausto, sono andata a teatro a vedere lo spettacolo di Moni Ovadia intitolato Oylem Goylem che si rifà alla tradizione della musica Klezmer. Una rappresentazione basata sul ritmo, sull’autoironia, sull’alternanza continua di toni e registri linguistici: una grande carrellata di umorismo e chiacchiere. Un incontro tra il canto liturgico e le sonorità zingare. Lo spettacolo si chiude con questa battuta di Moni Ovadia: «Il bambino ebreo zingaro davanti alla sua prima bicicletta si chiede: “La devo vendere o rubare?”». L’ironia, per raccontare la condizione di un popolo errante, ha avuto una valenza molto forte. Personalmente ho percepito una forza incredibile in quella battuta. Ecco. Essere ironici nei confronti di noi stessi. È un modo e un altro passo da compiere per superare ed accettare alcune situazioni spesso insopportabili. Poi, una sera, dall’alto dei miei tacchi da dieci centimetri, tutta precisa, mi reco al cinema a vedere il film di animazione Valzer con Bashir, nominato ai prossimi Oscar come miglior film straniero. È una pellicola sul massacro di Sabra e Chatila in Libano. Il protagonista cerca nella sua memoria i momenti terribili del massacro ed il pubblico viene trascinato nelle emozioni del narrante, che non è un arabo, non è un palestinese. Il regista, Ari Folman, è un ex soldato dell’esercito israeliano che, come altri intellettuali israeliani, ha il coraggio di fare autocritica. Valzer con Bashir è anche un atto d’accusa contro tutte le guerre.

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