Non profit

Confindustria: «Pronti a valorizzare il servizio civile»

Intervista al vicepresidente di Confindustria Giovani, Vincenzo Caputo, che sottolinea «veniamo a contatto con il mondo del volontariato in più modi, e vediamo crescere la sua importanza sociale»

di Daniele Biella

«È ora di sedersi assieme attorno a un tavolo e capire come mondo aziendale e terzo settore possano capitalizzare ancor più di oggi le esperienze di volontariato e cittadinanza attiva, a cominciare dal servizio civile». Vincenzo Caputo, 39 anni, laureato in economia e commercio, imprenditore turistico e immobiliare e dalla scorsa primavera vicepresidente di Confindustria Giovani, è chiaro nel lanciare il suo messaggio. «Il nostro movimento di persone comprende 13mila giovani imprenditori, tra i 18 e i 40 anni, che hanno responsabilità dirette. Veniamo a contatto con il mondo del volontariato in più modi, e vediamo crescere la sua importanza sociale».

In che senso vede la crescita di importanza del volontariato, in rapporto al settore aziendale?
Nello scouting per cercare nuovo personale, nelle selezioni, si nota come chi abbia svolto esperienze di volontariato abbia una marcia in più nelle competenze trasversali, che chiamerei anche permanenti, nel senso che vengono acquisite con la quotidianità del servizio verso l’altro e non riguardanti il percorso di studi. Si tratta di competenze relazionali, di problem solving, di attenzione all’innovazione: quindi non si guarda all’aspetto superficiale della “bravura” di chi fa servizio al prossimo, quanto quali siano le capacità che sviluppa in quel contesto.

A che livelli di profondità è oggi lo scambio relazionale tra mondo aziendale e del volontariato?
È a buon livello di interazione ma è ora di compiere un passo fondamentale: trovarsi in modo formale per impostare un percorso tra aziende e terzo settore che porti a strutturare interventi e prassi virtuose. Dico questo perché vedo una forte maturità in questo senso nel non profit, e penso in primo luogo al servizio civile: i giovani si candidano a ogni tipo di progetto, dal settore dell’assistenza sanitaria alla tutela ambientale e del patrimonio, e sono portatori di un capitale umano che non bisogna assolutamente perdere una volta terminato il servizio.

Le aziende sono pronte anche a un cofinanziamento del servizio civile, per esempio?
Sì, ma solo se prima di noi c’è un interesse istituzionale in tal senso, in primis a livello di Unione Europea, poi statale. In un percorso comune le imprese sarebbero oggi pronte a collaborare per la valorizzazione di tutte le esperienze di servizio civile dei singoli territori.

Vede il servizio civile come un’esperienza di lavoro?
La vedo come una forte palestra di esperienza lavorativa. Penso a una delle ultime iniziative, ovvero i 140 giovani in servizio nel bando dedicato a Expo 2015: hanno operato per sei mesi a stretto contatto con persone di 81 Paesi diversi, e ora si trovano con un bagaglio di competenze spendibili in più direzioni, con una creatività che sicuramente hanno sviluppato. Il fatto che ora, nella seconda parte del loro servizio, vadano nelle scuole a raccontare l’impatto dei temi dell’Esposizione universale sulla società, è un’azione molto positiva.

Si parla oramai da tempo, e su più livelli – di società civile come governativo – di Scu, Servizio civile universale, ovvero accessibile a chiunque lo voglia fare. Cosa ne pensa?
Ho studiato la bozza del Disegno di legge delega in materia, e sono molto favorevole all’idea del Servizio civile universale. Almeno 100mila giovani sarebbe pronti a farlo: ora la coperta economica è corta, a quanto ho potuto vedere, ma uno sforzo maggiore in tale direzione va fatto, perché stiamo parlando di uno strumento importante per tutta la società, che anche noi come mondo impresariale accogliamo con grande apertura e interesse.

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