Mancano poche settimane alla terza conferenza nazionale sulle politiche della disabilità, organizzata davvero in sordina a Torino, e in programma dall’1 al 3 ottobre, anzi, in realtà, ridotta a una giornata e mezzo (c’è la crisi), ovvero venerdì 2 e sabato 3 mattina (vedi su www.conferenzanazionaledisabili.it il programma scarno e privo di enfasi comunicativa). Con nessun ministro a intervenire, e con un programma che si limita a valorizzare gruppi di lavoro sui temi di maggiore attualità. La rappresentanza politica è affidata a un messaggio del presidente della Repubblica e alla presenza (relazione introduttiva e conclusioni) del sottosegretario al welfare, Eugenia Roccella, persona che sicuramente si è impegnata in questo anno sui temi della disabilità, ma che obiettivamente non può da sola dare una giusta enfasi pubblica (e magari anche mediatica) a questo evento.
I malumori infatti si percepiscono anche all’interno del mondo della disabilità. La Fish, federazione italiana per il superamento dell’handicap, vive questo appuntamento con la consueta grinta, puntando a “occupare” con le proprie competenze nei diversi settori (scuola, lavoro, assistenza, vita indipendente, accessibilità, salute mentale, presa in carico, ecc.) il ruolo di interlocutori critici e attivi delle istituzioni, in modo tale che da Torino escano linee guida, molto tecniche, sui diversi temi, tali da diventare la base per i lavori dell’Osservatorio Nazionale, previsto dal protocollo aggiuntivo della Convenzione Onu, approvata dal nostro Parlamento.
Siamo evidentemente in una fase contraddittoria e delicata. Il riformismo concreto, che è il terreno inattaccabile sul quale si muovono tutte le associazioni delle persone con disabilità, non fa sconti ai governi che si succedono, di centrodestra o di centrosinistra, ma nello stesso tempo deve fare i conti con questo continuo cambio di guida e di velocità.
Oggi, diciamolo francamente, la disabilità non è nella prima pagina dell’agenda del governo, e forse neppure nella seconda. Tranne forse che per il tema, spinosissimo, del fine vita, che peraltro non attiene in termini stringenti alla condizione di disabilità. Tutto questo avviene per una serie di motivi, alcuni contingenti, altri strutturali.
La crisi economica ha sicuramente spostato l’attenzione verso una massa critica di cittadini in difficoltà assai più ampia ed eterogenea rispetto al mondo della disabilità (stimato comunque attorno ai tre milioni di italiani). Il tema della sicurezza ha monopolizzato l’agenda politica per mesi, e ovviamente è un tema che ben poco ha a che vedere con la disabilità.
Ma strutturalmente il tema è lontano dal Governo perché sempre più si ha l’idea che si tratti di questioni da risolvere a livello territoriale, in un crescente federalismo delle competenze, ma non dei mezzi economici a disposizione. Ecco così crescere la disparità fra le tante Italie, e a parità di condizione esistenziale non v’è dubbio che è assai diversa la sorte di una persona con disabilità (giovane, adulto o anziano) a seconda che viva in Emilia Romagna o nel Veneto, in Umbria o nel Lazio, in Puglia o in Sicilia. Non è più soltanto una questione di bandiera politica, perché politiche positive (o negative) di inclusione sociale si sono attuate nel tempo in modo trasversale, al di là delle parole o delle intenzioni. Esiste invece una questione geografica, con una divaricazione Nord-Sud imbarazzante, paradossalmente speculare rispetto alle risorse impiegate nel campo dell’assistenza.
E qui il nodo politico, anche emotivo, fondamentale, per il quale una conferenza nazionale non può non essere cassa di risonanza per tutti: la dignità delle persone con disabilità, ovunque esse vivano, è identica. i diritti sono diritti e non concessioni dall’alto; le risorse sono obbligatorie e non facoltative o a singhiozzo; la partecipazione democratica è un dovere e non un impaccio che rallenta.
A Torino sarà impossibile far vibrare l’anima di un movimento che ha pure prodotto cultura, azioni, leggi, conquiste ormai condivise da tutti. E la nuova generazione di giovani con disabilità non sembra interessata a battersi con forza, se non per questioni monetarie, proprio come tutti.
A Torino, sinceramente, penso di non andarci. Lascio volentieri lo spazio ai “tecnici”, sperando che lavorino serenamente.
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