Famiglia

Conferenza di Napoli/ tre giorni belli davvero

Pochi piagnistei. Tanta voglia di esserci e di mettersi in gioco. E la politica, questa volta, è stata molto in ascolto. Ecco le voci, le idee e le richieste emerse...

di Maurizio Regosa

Foto di gruppo nel piazzale della Stazione marittima. Sorrisi distesi. Sullo sfondo, un pullman comincia il suo viaggio. Si è appena conclusa la Conferenza nazionale del volontariato. Lasciando dietro di sé alcune certezze, alcune parole d?ordine, molte proposte.

Basta parlare di crisi
Anzitutto la verifica dello stato di salute del volontariato. A Napoli si è avuta una partecipazione significativa: sono arrivate ben 2.182 organizzazioni (il ministero se ne aspettava cinque, seicento in meno: da qui alcuni problemi organizzativi). Provenienti da tutta Italia secondo una graduatoria piuttosto eloquente e solo in parte prevedibile. Forse era scontata la presenza campana (354 associazioni), ma che dire delle 304 realtà laziali, delle 123 toscane, delle 103 venete, delle 213 piemontesi e delle 112 lombarde?

Come non bastasse si è trattato di una partecipazione qualificata e attenta. Una riprova? 150 persone hanno discusso per sei ore e mezza su risorse e responsabilità sociale; 165 (con 51 interventi) hanno animato il gruppo su giovani e cittadinanza partecipata; ben 110 hanno dibattuto di partecipazione e coesione sociale. E proprio il facilitatore di quest?ultimo gruppo, Marco Revelli, lo conferma: «È stata un?occasione straordinaria di confronto interno al volontariato. I gruppi sono stati davvero di discussione. Hanno dimostrato la capacità di coniugare identità specifiche diverse non secondo la logica conflittuale della politica, ma secondo una logica di riconoscimento reciproco all?interno di un comune orizzonte».

Timida nei numeri ma significativa anche la presenza giovanile. In 300 si sono ritrovati al Teatro Trianon per elaborare un documento nel quale propongono fra l?altro la creazione di sportelli per il volontariato nelle scuole, il superamento dell?esclusione dal servizio civile dei non diplomati e dei giovani che sono passati per il circuito penale. (Ferrero ricevendo la proposta l?ha ampliata anche ai ragazzi extracomunitari).

Le parole d?ordine
Gratuità (parola «pesante», l?ha definita Romano Prodi nel suo intervento), dono, costruzione di senso e di relazioni sociali, strumento di coesione e di partecipazione: sono le parole d?ordine che a Napoli hanno contribuito a delimitare lo spazio, anche culturale e simbolico, nel quale il volontariato del terzo millennio intende muoversi. Riallacciando i fili spezzati di una società sempre più liquida e riaffermando la sua capacità d?innovazione, di coinvolgimento, di inclusione. L?ha detto benissimo il Presidente della Repubblica nel suo videomessaggio: «Il volontariato non si limita a fare per gli altri, fa con gli altri».

Questioni aperte
Questa consapevolezza non ha però impedito anche una disamina attenta di alcune questioni aperte. Anzitutto quella che alcuni definiscono frammentazione e altri polifonia, cioè ricchezza. La pluralità del volontariato è un bene ma potrebbe diventare d?ostacolo nell?interlocuzione pubblica. E quindi nella rappresentanza.

D?altronde da più parti si è sottolineata la necessità di un maggior coinvolgimento del volontariato: gli enti locali dovrebbero far tesoro dei suggerimenti e del contributo delle sole organizzazioni che, oggi, sono in grado di cogliere le nuove esigenze e i nuovi bisogni. Perciò dovrebbero avvalersene nella programmazione (ad esempio nei piani di zona previsti dalla 328), nella gestione e nella verifica dei servizi.

Non mancano anche le richieste concrete, come quella lasciata inevasa da tutti i governi, di destra o di sinistra: l?Iva per i beni materiali utilizzati dal volontariato. Secondo le organizzazioni, infatti, l?attività di volontariato ha una funzione pubblica e il pagamento dell?Iva rappresenta un aggravio oneroso ingiusto, e contraddittorio, per chi molto spesso ricorre all?autofinanziamento e si trova anche costretto, per carenza di risorse, a dover ridurre il proprio campo d?azione. Una richiesta che si accompagna a quelle di maggiori facilitazioni delle procedure di rimborso e chiarezza nella definizione e nell?accesso alle convenzioni.

Guardare al futuro
Probabilmente il risultato più significativo di Napoli è stata la decisa riaffermazione di voler essere un volontariato capace di non accontentarsi. Sia che si voglia affrontare quella che molti hanno definito «deriva economicistica». Sia che si intendano affrontare problemi nuovi, come un rinnovato slancio dei Centri di servizio o l?orizzonte europeo e internazionale («Per la prima volta in una Conferenza del volontariato si è tematizzato l?impegno fuori dai confini», ha ricordato Sergio Marelli). Sia che si voglia discutere della piramide rovesciata disegnata dalla maggior parte delle associazioni: una base molto ma molto femminile e una dirigenza molto ma molto maschile.

Un bilancio
Torniamo alla fotografia di gruppo da cui siamo partiti, a quel simbolo della voglia di ricordare un momento di confronto di livello forse inaspettato. Lanciata un po? in sordina, senza un vero e proprio percorso di preparazione, la Conferenza è stata un successo. Da molti punti di vista. Della qualità del dibattito. Del confronto reale fra universo del volontariato e mondo politico. Della disponibilità all?ascolto da parte dei decisori pubblici: non si sono visti politici arrivare, fare il solito spot e poi scomparire. È ripartito un dialogo, hanno commentato in molti. Ed è vero.

L?importante è che a questa prima tappa altre ne seguano. In particolare per alcune proposte: il riconoscimento del volontariato quale interlocutore primario su cui ha insistito ad esempio Luigi Bulleri (Consulta nazionale del volontariato); la riforma (il «tagliando» come l?ha definito Mimmo Lucà) della 266; la stabilizzazione del 5 per mille evocata dal ministro Ferrero che, fra le altre, ha lanciato anche l?idea di incentivare le scelte di volontariato: «Le 150 ore con cui gli operai prendevano un titolo di studio non avevano una ricaduta immediata sul lavoro. Ma la società riconosceva un valore sociale a quell?iniziativa». Bisognerebbe dunque individuarne di analoghe. Una bozza di proposta che alcuni giornali hanno frainteso, scrivendo di «volontariato a spese dei datori di lavoro».

Noi preferiamo porre una domanda: come si declina la responsabilità sociale d?impresa? Con le una tantum o sentendo di appartenere al medesimo destino della collettività?


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