Welfare

Condannati alla tubercolosi

Mentre l’Aids continua a colpire nelle celle, una ricerca lancia l’allarme tbc: gli ammalati sono cento volte di più del normale.

di Alessandra Camarca

Esiste un morbo del carcerato? A dire il vero, l?unica malattia che colpisce i detenuti e non i liberi cittadini è il cosidetto trauma da carcerazione, un disturbo psicologico di cui è affetto il 90 per cento dei reclusi e che, con il tempo, guarisce. Questo non vuol dire che le malattie comuni risparmino i detenuti. Tutt?altro. In carcere ci si ammala più che fuori. E spesso sono la disorganizzazione del sistema penitenziario e laburocratizzazione delle strutture sanitarie interne a rendere il detenuto ammalato un paziente di serie B.
Le patologie più frequenti, per le quali i detenuti vanno curati in maniera sistematica, sono la tubercolosi (della quale si è registrato un triste ma elevato ritorno nelle carceri), l?epatite C, l?Aids, oltre ai disturbi psichici e alla tossicodipendenza.
Secondo le stime più recenti fatte dal ministero della Sanità (e non ancora rese pubbliche) sono 11.928 i detenuti sottoposti a screening per la tubercolosi, dei quali 3.097 sono risultati positivi al test della tubercolina e ben 72 affetti da tubercolosi conclamata. Ciò significa che sei detenuti ogni mille hanno la tbc, contro una media nazionale di sette ogni centomila. «Questo è un dato che fa riflettere», afferma il dottor Giulio Starnini, medico penitenziario e infettivologo all?ospedale civile di Viterbo,«soprattutto se si considera che i detenuti sono circa 50 mila e che di questi solo un quarto è stato sottoposto all?analisi della Tbc. Un numero tanto elevato di malati su un numero basso di persone sottoposte a screening, conferma l?ascesa della malattia, ma anche la necessità di cambiare il sistema sanitario penitenziario attualmente in voga nelle carceri».
L?attuale sovraffollamento degli istituti di pena è uno dei maggiori responsabili della trasmissione delle malattie infettive, soprattutto di patologie che, come la Tbc, si trasmettono per via aerea. Tuttavia a far da regina nelle carceri è l?infezione da virus Hiv. La presenza massiccia di malati di Aids, dovuta al numero molto elevato di tossicodipendenti (anche se nel carcere dal ?94 ad oggi si è assistito a una diminuzione dei tossicodipendenti tra i sieropositivi), ha fatto emergere la necessità di rivedere una legge che non permette agli ammalati di Aids conclamato di essere curati fuori dagli istituti di pena.
«È molto grave», sostiene Corrado Stillo, del Tribunale dei diritti del malato e responsabile dell?Osservatorio sui diritti in carcere, «che un detenuto affetto dal virus Hiv non possa curarsi con gli inibitori delle proteasi (farmaci fondamentali per la vita dei sieropositivi – ndr) fuori dal carcere. Si tratta di una terapia che deve essere somministrata costantemente, seguendo criteri e tempi precisi e in carcere ciò spesso non è possibile». Parole che trovano conferma nelle cifre: il 60% degli istituti penitenziari, infatti, non sono coperti dalle convenzioni con le Usl. «In alcuni carceri», aggiunge Stillo, «gli operatori sanitari si dimenticano perfino di dare gli inibitori ai detenuti sottoposti a tale cura».
Insomma, quando un detenuto entra in carcere, secondo l?Osservatorio del Movimento federativo democratico, perde completamente il contatto con il Sistema sanitario nazionale, la sua salute dipende esclusivamente dai medici penitenziari e dall?amministrazione del carcere, e per qualunque tipo di intervento sui pazienti è necessario ricorrere a una prassi burocratica. Tutto ciò causa ritardi, disagi e incomprensioni che spesso costano la vita ai detenuti o quanto meno rendono loro impossibile vivere come cittadini normali.

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