Non profit

Concertazione

Dieci anni fa sembrava la summa dell’Italietta del volemosebbene. Oggi è una necessità per non affogare in un americanismo da Drive in. Viva la

di Alter Ego

Se mi permettete l?eccezione della prima persona (ma per la prima e ultima volta, prometto) lo confesserò: 10 anni fa, concertazione mi faceva un po? schifo. Nelle orecchie in trasferta americana di un vociano di cent?anni dopo, concertazione faceva rima con corporazione, ovvero con il peggio del peggio dell?esperienza fascista e marxista. Lo Stato etico, l?inferenza del pubblico nel privato, la soluzione della sostanza nella forma. A livello basso, invece, concertazione era il solito bric-à-brac dell?italianità immortale, il volemosebbene, il tiramm?innanz, il franza o spagna. Poi, però, quello che è venuto s?è visto. Contro la concertazione si sono scagliati gli strumenti retorici e teorici più usurati e meno studiati della nostra storia: un liberalismo da operetta, una competizione fra lobbies, un americanismo da Drive in. Sotto questi simulacri, vuoti di significato, non poteva che rimanere il dolore, la disperazione e i cocci di vite ed economie devastate, che nella concertazione avevano riposto la loro vita.
È un sollievo, così, aver sentito pronunciare la necessità di un ritorno alla concertazione. Non solo come strumento di governo industriale, ma come necessità sociale.Una parola che veicola un?idea di mondo non basata sullo scontro ma sulla cooperazione. Non su chi vince ma su chi non deve perdere.
Concertazione. Non è quello che avrei sperato dieci anni fa. Però è la verità.

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