Politica

Con Moretti e Il Sol dell’Avvenire si pensa e si ride

di Riccardo Bonacina

Il regista Giovanni sta girando un film ambientato nell’Italia del 1956 su Ennio (Silvio Orlando), redattore dell’Unità nonché segretario di quartiere del PCI, messo in crisi dall’invasione sovietica dell’Ungheria. Parallelamente il matrimonio di Giovanni con Paola (Margherita Buy), la moglie produttrice sul set di un altro film, violento e trash, va in crisi. Infine, nell’immaginazione di Giovanni prende corpo la trama di un nuovo film, sulla storia di una giovane coppia, scandita da canzoni italiane famose.

Per fare il verso a un famoso saggio di Antonin Artaud (Il teatro e il suo doppio) potremmo dire che “Il Sol dell’Avvenire” di Nanni Moretti è una sorta di “Il cinema e il suo triplo”, un ordito in cui le scene dei tre set, quasi fossero sketch, si incastrano via via in una sapiente e, diciamolo subito, divertente puzzle che intreccia la vita del protagonista Giovanni/Moretti.

“Il Sol dell’Avvenire” ripropone tutte le idiosincrasie, insofferenze e nevrosi di Moretti, compreso il suo conto mai chiuso con il comunismo, il che se da una parte rappresenta un comodo rifugiarsi in sé stesso (da Ecce Bombo, 45 anni fa, ad oggi ogni film sembra un episodio di un’unica lunga pellicola), dall’altro si percepisce sempre più la dolorosa riflessione scaturita dal confronto con un presente in cui è difficile riconoscersi e col quale è ormai difficile confrontarsi.

Riguardo questo valgano le tre sequenze che entreranno nelle prossime antologie di scene cult morettiane: in primis quella riuscitissima del dialogo con i dirigenti di Netflix, in cui questi ultimi impongono l’applicazione pedissequa di termini anglofoni quali slowburn (e altri che non anticipiamo qui) nella scrittura di sceneggiature che si conformino al famigerato algoritmo e la reiterazione del loro essere presenti in 190 paesi. L’altra, paradossale che vede l’intransigente Giovanni interrompere le riprese di un film, prodotto dalla moglie Paola, diretto da un giovane regista modaiolo, proprio nel momento culminante di una violenta esecuzione a mano armata di un personaggio. L’esilarante sospensione della scena (quasi 24 ore con colpi di sonno compresi) vede anche l’intervento di alcuni personaggi come Renzo Piano, Corrado Augias e un tentativo con Scorse a dibattere sul rapporto su estetica e violenza. Infine, il cambio in progress del finale del film che prevedeva il suicidio di Elio (Silvio Orlando) travolto dai sensi di colpa per non aver protestato contro i carri armati in Ungheria (del resto Togliatti se ne uscì così: «Si sta con la propria parte anche quando sbaglia») e che Giovanni/Moretti nel finale cambia “per una volta la storia la risolviamo con i se”, dice. Ennio/Silvio Oelando ascolta la sua compagna sul set e innamorata e va a protestare danti a Botteghe Oscure, una protesta che spingerà Togliatti e il P.C.I (nel film però) a stigmatizzare l'invasione dell'Ungheria.

Sia chiaro, però, Il Sol dell'Avvenire fa pensare ma anche ridere. Era da tempo che io non ridevo così in un cinema, Moretti con il suo eloquio sempre sospeso, straniato, molto recitato, il suo sguardo sempre sorpreso, punteggia tutto il film in modo sempre ironico e surreale.

Ancora una volta, poi, Moretti canta la sua Roma, qui quella del 1956. È la Roma di quegli anni e quella attuale a farla da protagonista in un rimando continuo tra passato e presente che a un certo punto diventa una cosa sola, una maniera per dimostrare, ancora una volta, tutto l’amore per la sua città. Roma è del resto lo scenario naturale di quasi tutti i film di Nanni Moretti. In Il Sol dell’Avvenire c’è il quartiere Prati (percorso in monopattino e non più in Vespa) e il quartiere del Quarticciolo, periferia nord, dove vive Ennio e dove a un certo punto arriva il Circo ungherese Budavari proprio davanti ai fabbriconi della periferia (ricostruiti).

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