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«Con Mira e Miro scoprii la guerra nei Balcani»
Silvia Maraone era una giovane aclista milanese, neppure 18enne, che in un giorno del 1992 accolse con la sua famiglia due profughi in fuga da Mostar e dalla guerra nella ex-Jugoslavia. Di lì a breve si sarebbe impegnata nell'aiuto ai campi rifugiati e, nel 1993, sarebbe andata direttamente a farlo nella martoriata Slovenia. Oggi aiuta i migranti della rotta balcanica per conto dell'ong Ipsia-Acli. Ascolta l'episodio n. 6 di "Storie di volontari, storie d'Italia"
Quel giorno del 1992 arrivarono a casa di Silvia Maraone, giovane attivista delle Acli milanesi, Miro e Mira, profughi in fuga da Mostar. «Miro era un ingegnere, un signore croato di Bosnia, non più giovane», racconta Maraone a Luca Cereda, «Mira una giovane bosniaca-musulmana. Non sapevamo altro: Miro si accomodò nella camera di mia fratello, Mira nel mio letto e io mi sistemai in una brandina».
Guerra nei Balcani, la mobilitazione
dei volontari in Italia
La guerra dei Balcani entrò così nella vita di Maraone, che di lì a poco avrebbe partecipato, dall’Italia, alla missione, Un sorriso per la Bosnia, sistema di gemellaggio promosso dalle Acli con una ventina di gruppi di volontariato del Milanese, che raccoglievano aiuti per i campi profughi dell’Unhcr nella nazione martoriata. L’anno dopo, nel 1993, al compimento dei 18 anni, Marone si sarebbe direttamente recata in Slovenia, a prestare soccorso nel campo profughi di Novo Mesto. Oggi Maraone opera ancora nei Balcani ma con la ong Ipsia – Acli è impegnata nel soccorso ai migranti della rotta balcanica.
Si parla infatti del sanguinoso conflitto della ex-Jugoslavia nel sesto episodio di Storie di volontari, storie d’Italia, il podcast di VITA che racconta l’impegno delle associazioni e delle ong italiane negli ultimi 60-70, in concomitanza di grandi fatti di cronaca, politica, economia.
Giuseppe e Fulco, giovani volontari
La serie era iniziata con l’intervista di chi scrive a Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nella sua giovanile esperienza di volontario – era il 4 novembre del 1966 – proprio nel capoluogo toscano alluvionato.
Era stata quindi la volta di Fulco Pratesi che aveva raccontato, ancora a Cereda, gli inizi del Wwf in Italia, a fine anni 60: un impegno per la natura che ha coinciso anche con una “conversione” personale, visto che Pratesi racconta d’aver intrapreso l’impegno animalistico da giovane cacciatore.
Tossicodipendenti e poveri nella Milano da bere
Nella terza puntata, Franco Taverna, di Fondazione Exodus, aveva invece ricostruito i giorni tragici dell’eroina in Italia, ripercorrendo il suo impegno al fianco di don Antonio Mazzi, negli anni 70 e 80, sempre a Milano.
Con Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca, Cereda aveva ripercorso la Milano dei primi anni ’80 – “da bere” nella definizione della prima Repubblica – dove però non mancavano i nuovi poveri e i senza fissa dimora, a cui si dedicava fratel Ettore Boschini.
L’Italia e i bambini di Chernobyl
Nel quinto episodio, Angelo Gentili, dirigente di Legambiente, che organizzò le prime missioni in Ucraina dopo la catastrofe di Chernobyl, aveva ricordato il Progetto omonimo, che aveva mobilitato migliaia di famiglie italiane nell’accoglienza dei bambini bielorussi, russi e ucrainai, per lunghi periodi di cura.
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La foto in apertura è Fabio Fiorani per Agenzia Sintesi e raffigura dei bambini nella Sarajevo bombardata del 1996.
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