«La solitudine dei numeri primi», un libro duro,
che coinvolge anche se spiazzadi Fatima El Harki
I numeri primi. Due numeri primi gemelli separati da un solo numero pari, vicini ma mai abbastanza da potersi toccare davvero. Speciali eppure irrevocabilmente soli. Mattia e Alice sono i protagonisti de La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano: s’incontrano, scontrano, allontanano, ritrovano per poi perdersi di nuovo, perché come i numeri primi non possono toccarsi davvero. La descrizione della solitudine estrema è ciò che più mi ha colpito del libro. La consapevolezza di essere soli senza averne paura, il vuoto di dialogo, i silenzi interminabili durante le cene in famiglia, le ore di scuola e di lavoro, la vita che cambia a causa di parole non dette. La condizione della solitudine di questi personaggi mi ha ferito profondamente, facendomi pensare alla cattiveria innocente dei bambini, al menefreghismo per le esistenze vissute al limite della “normalità”. Ancora più toccante è la storia dei due protagonisti, al “limite” in ogni fase della loro vita. È al limite il rapporto quasi inesistente con i genitori che non si ferma con l’adolescenza, ma continua anche in età più matura. È al limite la vita di coppia tra Alice e Fabio, le relazioni d’amicizia e il rapporto con i colleghi. Tuttavia, se è vero che le vite di Mattia e Alice risultano “anormali” solo per chi le guarda da fuori, è anche vero che il dolore, pur essendo sempre presente, non diventa mai un elemento positivo.
Un altro aspetto che ha suscitato in me molto interesse è l’immobilità di Mattia. Immobilità intesa come rassegnazione, incapacità di guardare oltre quella siepe che nasconde altri orizzonti possibili. Come una foto scattata, immodificabile, priva di sfumature e dove un raggio di sole non potrà mai spuntare da dietro le nuvole. Un istante che rappresenta l’eternità. Mattia è un personaggio che si autocondanna alla solitudine. Fermo. Talvolta è odioso, per la sua mancanza di reagire e tentare di cambiare il corso delle cose, ma di cui ci s’innamora, perché così mostruosamente intelligente ma così teneramente ingenuo.
Un libro forte senza mai essere violento che ti lascia giusto il tempo di accennare un sorriso perché ti dà la parvenza che il sole possa tornare a splendere. E allora pensi che la vita è come una legge di compensazione: se ti capita una cosa brutta, ti capiterà almeno una cosa bella, ma sbagli. Sbagli sempre in questo libro. Sei deluso. Vorresti cancellare le pagine per scriverne delle altre meno pungenti, ma non puoi che andare avanti e dirti: «E il naufragar m’è dolce in questo mare», come faceva Leopardi sull’«ermo colle».
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