Cultura

Con la nostra soia sfidiamo la Monsanto

Mentre l’industria biotech punta su questa pianta, un commerciante ha convinto alcuni agricoltori a coltivarla biologicamente.

di Giampaolo Cerri

Dodici anni fa, Massimo Roncon da Bagnoli di Sopra (Padova) aveva 24 anni. Perito agrario, lavorava ormai da anni nella azienda del padre, intermediario e commerciante di granaglie. Girando di azienda in azienda, in mezzo all?offensiva della chimica, gli capitava spesso di pensare a «come sarebbe stato bello ritornare all?agricoltura dei nostri nonni», quella che praticava le rotazioni delle colture, che non annaffiava tutto coi pesticidi. Un romantico? Per niente. Perché nel ?90 il biologico era un giochino per pochi eletti e Roncon doveva pensare a vendere le sue sementi, non potendo permettersi di filosofare. Il suo era piuttosto un pensiero lucido, nitido, l?idea «che così non si poteva andare avanti». S?informò, volò in America, conobbe l?utilizzo degli insetti utili, da usare invece dei anticrittogamici. Li importò. Ma i tempi non erano maturi e per un perito agrario la maturazione è importante. Così desistette. Da quel tipo di vendita, non certo dalla sua idea di agricoltura. Ma quando, cinque anni fa, il bio aveva cominciato a crescere, Roncon annusò un?altra sfida: la soia biologica. «Capivo che era una coltura difficile, stretta fra l?agricoltura convenzionale e i pericoli del transgenico alle porte». Una nicchia nella nicchia. «Ma era già chiaro che la domanda sarebbe cresciuta: si cominciavano a capire le varie applicazioni, dall?alimentazione (soprattutto per le intolleranze al latte) agli usi per la salute. Una domanda che chiedeva sicurezza, tracciabilità, garanzie». Così Massimo Roncon e la sorella Monica, di tre anni più giovane, cominciano ad andare a cercarsi le sementi bio certificate – «Abbiamo fatto arrivare i primi camion dalla Spagna» – aiutando gli agricoltori a piazzare poi i loro raccolti. Insomma, un modo moderno e intelligente di intraprendere uno dei mestieri più antichi: l?intermediazione in agricoltura. Oggi i Marcon, con la loro Agricolagrains, vendono e comprano soia e altre granaglie biologiche, dall?orzo al mais. «Vendiamo alle grandi industrie di trasformazione, ai molini che lavorano, esportiamo, cominciamo a vendere ai mangimifici», conferma Massimo. Il giovane commerciante ha cercato e trovato una società Usa specializzata nell?agricoltura bio, la Northland di St. Paul, Minnesota (www.northlandorganicfoods. com). «Loro mi danno le sementi biologiche garantite, e io le vendo alle aziende bio dalle quali riacquisto parte dei raccolti che poi rivendo alla stessa Northland». Nel frattempo la soia biologica è diventata importantissima, soprattutto perché ?Ogm free?. «Certo, con la soia si fanno anche gli alimenti per i neonati, per chi soffre di intolleranze alimentari», spiega Marcon, «immaginate se è accettabile che ci sia del transgenico là in mezzo». Così la Northland, «che ha il know-how, i servizi, l?esperienza, ha bisogno dei terreni italiani, perché ancora vietati agli Ogm». E, da due anni a questa parte, i tecnici americani volano una volta all?anno dall?America e vanno con Roncon a controllare la fioritura. L?Agricola Grains (tel. 049.9535060) così fornisce e assiste varie piccole aziende per almeno 500 ettari, in tutta la Valle del Po, che coltivano soia bio. «Andiamo personalmente sui campi a prelevare campioni. Perché l?impollinazione con colture convenzionali dei vicini è sempre dietro l?angolo», spiega. Controlli che si aggiungono a quelli di legge. I Marcon provvedono anche al ritiro delle sementi, al loro stoccaggio garantito da contaminazioni, al loro trasporto. «La consegniamo con il camion fin dai piccoli allevatori del Trentino», racconta fiero. E mentre le multinazionali biotech, che nella soia hanno investito miliardi, mordono il freno per i divieti europei agli Ogm, un piccolo commerciante le sfida.


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