Neuroscienze e società

Con la dopamina a tutta siamo a rischio dipendenza

Quali sono le origini della nostra vulnerabilità a sviluppare dipendenze? Come farvi fronte? Ne abbiamo parlato con Anna Lembke, psichiatra dell’Università di Stanford e direttrice del Stanford Addiction Medicine Dual Diagnosis Clinic, autrice del saggio "L'era della dopamina"

di Nicla Panciera

Corriamo tutti il grande rischio di finire nel vortice di un «consumo eccessivo compulsivo». Di dopamina, neurotrasmettitore il cui rilascio alimenta la nostra motivazione all’azione. Anna Lembke è psichiatra dell’Università di Stanford e direttrice del Stanford Addiction Medicine Dual Diagnosis Clinic, dove cura persone con dipendenze comportamentali e da uso di sostanze e con disturbi psichiatrici concomitanti. Tra i suoi lavori, il saggio L’era della dopamina (Roi Edizioni) che in Italia ha avuto un ottimo successo a conferma dell’interesse per questa problematica. Oltre a riportare storie e conversazioni emblematiche tratte dai suoi casi clinici, Lembke scandaglia tutti quegli ingranaggi complessi che ci fanno capitolare di fronte all’ottenimento del piacere e che oggi, sostiene la psichiatra, sono pesantemente alterati dall’ambiente in cui vivano. Scrive Lembke: «Il nostro cervello non si è evoluto per funzionare in questo mondo caratterizzato dall’abbondanza. Come ha osservato Tom Finucane, che studia il diabete che si sviluppa in seguito a un certo genere di alimentazione associato alla cronica sedentarietà: Siamo dei cactus nella foresta pluviale. E come cactus adattati al clima arido, stiamo annegando nella dopamina». Le abbiamo fatto qualche domanda per capire quali sono i meccanismi alla base di questo fenomeno dal momento che la loro conoscenza può essere di aiuto.

Definiamo la dipendenza. È possibile tracciare una netta distinzione tra comportamento indesiderato e comportamento patologico, guardando solo al funzionamento del soggetto in società e sospendendo i giudizi morali e culturali?

Certamente le norme culturali influenzano ciò che consideriamo un comportamento desiderabile o indesiderabile, tuttavia spesso ciò che non è desiderabile non è neppure un bene per noi come individui o come comunità, e quindi lo consideriamo patologico. Piuttosto che pensare a queste due categorie distinte, suggerisco di pensarle come uno spettro. Tutti noi, in una certa misura, adottiamo comportamenti che sono indesiderabili, sia dal punto di vista dell’individuo che della società. Ma non siamo dei robot, è nella nostra natura spingerci oltre i limiti, sperimentare e, talvolta, andare troppo in là. La maggior parte di noi può autocorreggersi, ma alcuni lo trovano più difficile e c’è anche chi, pur volendo cambiare un comportamento indesiderato, non è in grado di farlo senza l’aiuto degli altri o senza un cambiamento radicale dell’ambiente esterno. Questo è ciò che chiamiamo dipendenza.

Il mondo ci offre un universo di possibilità. Ma alcune sostanze sono più pericolose di altre, basta misurare alcuni parametri oggettivi. La nicotina aumenta la produzione basale di dopamina nel cervello del 150%, la cocaina del 225%, l’anfetamina del 1000%.

Questi esperimenti sono stati condotti sui ratti, non sugli esseri umani, quindi serve cautela. Inoltre, non tengono conto della “droga preferita”: ciò che può rilasciare molta dopamina nel cervello di una persona potrebbe non farlo nel cervello di un’altra. Le differenze interindividuali sono tali che neppure le sostanze neurotossiche, generalmente inebrianti per la maggior parte delle persone, lo sono universalmente. Non tutti coloro che bevono alcolici o usano oppioidi si “sballano”. La stessa persona che ha una scarsa o nessuna risposta positiva all’alcol o ad altre droghe può diventare molto sballata dal gioco d’azzardo, dal sesso o dal mangiare dolci. Ho avuto pazienti così dipendenti dallo zucchero che quando vedevano i cupcakes cominciavano a sudare freddo a causa del desiderio travolgente.

In Italia, si teme l’arrivo del fentanyl.

Il fentanyl è così pericoloso perché la quantità necessaria per sentirsi sballati è molto vicina alla quantità letale. Inoltre, negli Stati Uniti, il fentanyl viene spesso tagliato in altri farmaci, comprese le pillole contraffatte. Quindi, alcune persone muoiono a causa del fentanyl perché non sanno che lo stanno ingerendo.

Oggi siamo più vulnerabili al richiamo delle droghe? Se sì, perché?

Sì, lo siamo. E, come dice il titolo “L’era della dopamina”, ora viviamo in un’epoca di facile accesso a sostanze e comportamenti ad alto rischio di indurre dipendenza, comprese sostanze che prima non esistevano, come i cibi ad alto contenuto di zuccheri, grassi e sale e il mondo digitale. Ciò ci rende tutti più vulnerabili.

La pandemia come ha influito?

Con il Covid, abbiamo visto una distribuzione bimodale. Alcuni pazienti sono migliorati e hanno tratto vantaggio da uno stile di vita più tranquillo e lento per riprendersi dalla dipendenza. Altri, soprattutto coloro che vivono in isolamento o in famiglie disfunzionali, hanno sperimentato un peggioramento della dipendenza. Quasi tutti sono diventati un po’ più dipendenti dagli schermi e dai media digitali.

Quali sono le altre ragioni di questa maggior vulnerabilità?

Maggiore accesso alle sostanze e loro efficacia, tempo libero, noia e reddito disponibile, anche per i più poveri tra i poveri, che oggi hanno per i beni del tempo libero più soldi che in qualsiasi momento della storia umana; e una diminuzione della connessione tra esseri umani, del senso della vita e del sollievo della spiritualità.

L’autoconsapevolezza e la conoscenza di come funzionano certi meccanismi può aiutarci a non esserne schiavi?

Rendendoci conto che il nostro antico cablaggio non è adeguato al nostro ecosistema moderno, possiamo iniziare a pensare a come moderare il consumo e persino a ricercare il dolore per ripristinare percorsi di ricompensa cerebrale più sani.

Per ristabilire il funzionamento del sistema, evitando il rischio di neuroadattamento, lei suggerisce di autoimporsi dei limiti e di “premere il pulsante pausa” tra desiderio e azione. Un simile “digiuno dalla dopamina” autoimposto è sempre possibile?

No, per le persone con le forme più gravi di dipendenza da droga e alcol, la moderazione non può essere un’opzione. Ma tutti gli altri, per chi ha forme dipendenza più lievi, è possibile. Per le persone con dipendenza dal cibo, dal sesso e dalla tecnologia, in una certa misura tutti noi, non è possibile eliminare quelle cose dalle nostre vite. Pertanto, imparare la moderazione è essenziale. Si dovrebbe iniziare con un periodo di astinenza di quattro settimane. Per cose come il cibo, il sesso e la tecnologia, ciò significa eliminare i comportamenti problematici all’interno di quelle categorie, piuttosto che rinunciarvi del tutto. Ad esempio, l’eliminazione dello zucchero, degli orgasmi o di Tik Tok/Youtube per quattro settimane. Sebbene quattro settimane siano il tempo medio necessario per iniziare a ripristinare i percorsi di ricompensa, non per tutti sono sufficienti, nel qual caso saranno necessari periodi di astinenza più lunghi. Alcune persone potrebbero aver bisogno di eliminare per sempre questi comportamenti dalla loro vita.

Continuamente bombardato con alti livelli di dopamina, il nostro sistema della ricompensa è mal regolato?

Credo che la maggior parte delle persone che vivono nelle nazioni ricche abbiano cambiato il proprio standard edonico/di felicità, tanto da aver bisogno di piaceri più potenti per provare qualcosa di simile al piacere. Al punto che, quando non stiamo usando la nostra droga preferita, viviamo una qualche misura di dolore mentale e/o fisico.

Questo aumenta, in un circolo vizioso, il rischio di passare a fonti ancora più potenti di dopamina?

Sì. Con un punto di riferimento edonico spostato dalla parte del dolore, abbiamo bisogno di piaceri più potenti e per più a lungo

Tra i fattori di rischio della dipendenza, lei menziona povertà, disoccupazione, trauma multigenerazionale.

Questi sono fattori di rischio ben noti per la dipendenza e altre forme di psicopatologia. Ma quasi nessuno ha prestato attenzione a quel fattore di rischio che è diventato il nostro moderno ecosistema di schiacciante sovrabbondanza, in cui quasi ogni aspetto della vita moderna è stato in qualche modo narcotizzato, in modo tale che anche quando abbiamo soldi, privilegi, amici e un lavoro significativo e nessun trauma, siamo ancora vulnerabili alla dipendenza.

Lembke conclude con un auspicio il suo “L’era della dopamina”: «Tutti desideriamo prenderci una tregua dal mondo, una pausa dagli standard impossibili che spesso poniamo a noi stessi e agli altri. È più che naturale cercare di garantirci un momento di tregua dalle nostre incessanti ruminazioni». Per farlo, premiamo a ripetizione il pulsante del rilascio della dopamina. «E se invece di cercare l’oblio fuggendo dal mondo ci volgessimo verso di esso? E se invece di lasciarci il mondo alle spalle, ci immergessimo in esso?».

Abbiamo dedicato un’inchiesta al consumo di sostanze, in particolare da parte dei giovani, nel numero di VITA magazine “Droga, apriamo gli occhi”. Se sei abbonata o abbonato a VITA puoi leggerlo subito da qui. E grazie per il supporto che ci dai. Se vuoi leggere il magazine, ricevere i prossimi numeri e accedere a contenuti e funzionalità dedicate, abbonati qui.

Immagine di H. B. da Pixabay

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