L'arte della cura

Con il mio amico Poretti, ho scoperto un teatro che cura

«Non c'è arte che non sia compagnia, sostegno, pietà, conforto. L'arte gronda pietà, senza la quale le nostre narrazioni sarebbero piccole, asfittiche», dice lo scrittore Luca Doninelli. E racconta l'esperienza della scuola di teatro per ragazzi con e senza disabilità, da poco avviata insieme a Giacomo Poretti

di Luca Doninelli

Quand’ero giovane non credevo nel valore curativo dell’arte. Non credevo al fatto che ci si potessero curare le ferite dell’anima attraverso un atto creativo. Prima bisogna curarsi – pensavo – e solo poi possiamo fare arte, poesia, teatro. Ma ero giovane, un po’ massimalista e un po’ sprezzante, come a volte sono i giovani. Mi occorsero diversi anni, di studio e di vicende personali spesso dolorose, per capire che è vero l’opposto di quello che pensavo in quel tempo lontano. 

Anzitutto, l’arte sarebbe inimmaginabile se non considerassimo la sua affinità con la cura degli altri. Il soggetto forse più rappresentato nella storia dell’arte è, per esempio, la maternità di Maria, ossia Maria che si prende cura del Figlio di Dio. Dio entra nel mondo come un piccolo essere da nutrire, accarezzare, accudire, insomma: da amare. Non c’è arte che non sia compagnia, sostegno, pietà, conforto. Il Crocefisso richiama la nostra partecipazione drammatica; il pranzo alle Nozze di Cana ci invita alla festa, tutti insieme; la Zattera della Medusa di Géricault ci invita ad accompagnare la tragedia solitaria dei poveri naufraghi. L’arte cura anche le nostre pulsioni peggiori, come la tendenza alla violenza. Pensiamo a Guernica o a Massacro in Corea dove Picasso, di fronte a immagini di morte e distruzione, ci invita al silenzio e alla pietà. 

Nel nuovo numero di VITA, La solitudine dei caregiver, otto artisti e intellettuali narrano la bellezza del gesto di cura. Se hai un abbonamento, leggi subito qui oppure abbonati per scoprire il magazine e tutti gli altri contenuti dedicati.

La pietà non è un sentimento: è un atto di realismo. La realtà dell’arte gronda pietà, senza la quale le nostre narrazioni sarebbero piccole, asfittiche, pretestuose, non più grandi della nostra calotta cranica (D. F. Wallace). L’idea della cura si afferma dall’esigenza stessa – propria di tutti gli artisti del mondo – di dire una cosa più grande di sé, di andare oltre la prigione dell’ego

Ma c’è molto di più. Da anni dirigo, in compagnia di Gabriele Allevi e Giacomo Poretti, un teatro a Milano. Poretti, che prima di essere un grande comico aveva fatto l’infermiere, ha sempre dato alla cura un’importanza centrale, sia negli spettacoli di cui è autore, sia nel progettare le stagioni e le attività. Tanto che abbiamo dovuto aprire una seconda sala destinata non solo a spettacoli, ma ad attività come una scuola di Teatro aperta alle persone con disabilità (in collaborazione con Fondazione Allianz Umana Mente) e un corso sul tema della cura tenuto dallo stesso Giacomo con la moglie, la psicologa Daniela Cristofori, per l’Università Cattolica. 

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