Detenzione e cooperazione
Con il lavoro in carcere l’obiettivo è recidiva zero
Un incontro al Cnel, organizzato da Confcooperative Federsolidarietà, è stato l’occasione per fare il punto su cooperazione sociale e giustizia. Siglato un protocollo d’intesa tra l’organizzazione e il Dap. Maurizio Gardini, presidente Confcooperative: «Accogliamo la sfida recidiva zero. Abbiamo bisogno di un grande lavoro di sussidiarietà. Occorrono investimenti sulle infrastrutture»
Su 100 detenuti che seguono percorsi di formazione e di inserimento lavorativo in carcere nelle cooperative sociali «torna a delinquere meno del 10%, un abbattimento della recidiva importante rispetto a chi è sottoposto a trattamenti standard. E di margine per far crescere l’impegno della cooperazione sociale in quest’ambito ce n’è». Lo ha detto Stefano Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà intervenendo a “Cooperazione sociale e giustizia: un ponte tra carcere e società. Esperienze di innovazione ed impatto sociale” convegno organizzato a Roma, nella sede del Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, da Confcooperative Federsolidarietà.
Un Protocollo d’intesa per opportunità lavorative
Durante l’incontro è stato siglato il Protocollo d’intesa tra Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e Confcooperative Federsolidarietà che ha l’obiettivo di creare nuove prospettive per lo sviluppo di opportunità lavorative e sociali a favore della popolazione detenuta nelle carceri italiane. L’intesa vede l’apertura di un tavolo tecnico e mira a promuovere programmi di intervento a favore dei detenuti, con l’avvio di progetti imprenditoriali finalizzati all’inserimento lavorativo intra ed extra-murario e al recupero sociale degli stessi. I progetti saranno individuati e promossi da Federsolidarietà.
I “pontieri” tra carcere e società
«Il carcere è un luogo chiuso e separato. Noi vogliamo costruire i ponti tra il carcere e fuori. La cosa più semplice per costruirli è il lavoro», ha detto Renato Brunetta, presidente Cnel. «Il nostro obiettivo è recidiva zero. O la recidiva più bassa possibile. Ora è troppo alta perché nessuno investe in formazione, scuola, lavoro che sono la rottura del circuito perverso che prevede solo che sconti la pena in modo afflittivo. Ciò economicamente è un non senso perché lo Stato spende quattro miliardi l’anno per gestire le carceri, ma senza speranza, senza visioni sul futuro sono un costo e non un investimento. Diventa una trappola economica e sociale».
Sono circa 61mila, attualmente, i detenuti, con un sovraffollamento medio del 119% e una recidiva che si aggira intorno al 68%. «Dopo il disegno di legge approvato lo scorso maggio, sull’inclusione socio-lavorativa e l’abbattimento della recidiva, abbiamo in mente altri decreti legge: il prossimo riguarderà una proposta per far lavorare i detenuti ai call center». Riguardo alle cooperative che operano nelle carceri «ci sono delle casistiche straordinarie. C’è un solo problema: sono casi. Se noi moltiplichiamo tutte le singole iniziative a frutto del sistema e le mettiamo insieme sono sicuro che la recidiva precipita. Voi siete i pontieri per vincere questa sfida, per fare da ponte tra carcere e società», ha detto Brunetta riferendosi alle cooperative.
Lavoro di sussidiarietà e investimenti
In risposta, il presidente Confcooperative Maurizio Gardini ha affermato: «Ci sentiamo di accogliere la sfida recidiva zero. Abbiamo bisogno di un grande lavoro di sussidiarietà che tenga insieme Stato e corpi intermedi, per motivi di carattere etico, sociale, economico. Occorre investire di più sulle infrastrutture sociali ed economiche, materiali e immateriali. E bisogna costruire reti anche con il mondo privato».
«Non è questo il lavoro che vogliamo»
«Abbiamo circa 18mila detenuti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, per un totale di 13 milioni di ore l’anno lavorate, una-due ore al giorno pro capite. Non è questo il lavoro che vogliamo», ha affermato Giovanni Russo, capo del Dap. «Al lavoro svolto dai detenuti deve corrispondere una remunerazione idonea. Offrire due ore di lavoro al giorno significa tenere bassa una tensione intramuraria, dare una risposta burocratica. Ma bisogna dare alle persone in carcere un contratto di lavoro vero».
Obiettivo: far diventare la Pa un committente stabile
«Un detenuto su tre, tra quelli occupati nel privato, è assunto da una cooperativa sociale associata a Confcooperative Federsolidarietà. E sono oltre 1.500 i detenuti ed ex detenuti impegnati in percorsi di formazione, tirocini e borse lavoro. Mentre sono 3mila gli ex detenuti che, intrapreso il percorso di lavoro in una cooperativa sociale, vi restano anche al termine della pena», ha affermato Stefano Granata. «È importante far diventare la Pubblica amministrazione un committente stabile delle prestazioni erogate attraverso un piano di acquisti sociali della Pa così da rendere più efficaci i servizi e la connessione con il territorio», ha continuato. «Abbiamo costruito tanti piccoli ponti tra carcere e lavoro, ma le persone che ci passano sono poche rispetto alla domanda. Il nostro grande lavoro ora è di chiamare a raccolta tutte le cooperative di inclusione lavorativa che stanno crescendo a doppia cifra.
Sono circa 110 le cooperative sociali aderenti a Confcooperative che, ad oggi, assumono regolarmente (con retribuzioni previste dal Ccnl delle cooperative sociali siglato con Cgil, Cisl e Uil) persone svantaggiate nell’ambito della giustizia, sia in lavorazioni intramurarie che all’esterno delle carceri, per un totale di circa 1.107 persone tra detenuti, ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno. Oltre 4 mila persone usufruiscono dei servizi residenziali per detenuti ed ex-detenuti, in particolare con problemi psichiatrici e di dipendenze, e di altri servizi di reinserimento socio lavorativo una volta finita la detenzione. La cooperazione sociale rappresenta un importante fattore di congiunzione tra il carcere ed il mondo esterno.
L’emergenza delle carceri minorili
A mio avviso», ha proseguito Granata, «il dato più allarmante di questi ultimi mesi è la crescita esponenziale delle persone nelle carceri minorili. È necessario creare delle strutture, diverse dagli istituti minorili, per questi ragazzi in modo che possano essere cittadini veri e non “scarti” della società già a 16 anni».
C’è da fare un lavoro di capacity building
«Scalare un progetto imprenditoriale è una sfida verso le organizzazioni, le imprese, le cooperative sociali. Moltiplicare ogni progetto per le 190 carceri italiane significa che in ogni istituto ci deve essere la stessa cultura, valori condivisi, la stessa sensibilità: c’è un grande lavoro di capacity building da fare», ha detto Filippo Giordano, docente di Management all’Università Lumsa e componente Segretariato permanente per l’inclusione economica, sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale Cnel. «Oggi dobbiamo interrogarci su quanta voglia abbiamo di creare sostenibilità, generare impatto, rischiare».
Nella foto in apertura, di Cecilia Fabio LaPresse, il carcere di Regina Coeli a Roma. Le altre foto sono del’ ufficio stampa Confcooperative, i video di Ilaria Dioguardi
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