Con buona pace dell’unità politica dei cattolici. Alleluia!

di Gianfranco Marocchi

Confesso di avere guardato con una certa inquietudine quei ritrovi di Todi tra cattolici che si interrogavano sugli esiti politici della propria comune identità. E non certo per la qualità delle persone, stimabilissime e che comprendevano tra l’altro gli allora livelli apicali, poi effettivamente candidatisi alle prossime elezioni, delle due organizzazioni cui, direttamente o indirettamente, il consorzio di cui sono presidente fa parte (Confcooperative e Forum del Terzo Settore); ma perché ho sempre nutrito diffidenze rispetto al progetto culturale che ispirava tali ritrovi.

Diffidenze radicali verso la prospettiva più estreme – e non realizzatasi, ma, realisticamente, da più di uno degli allora convenuti almeno sognata: quella di ricomporre un grande partito cattolico centrista. Diffidenze sostanziali comunque anche verso la versione light, quella richiamata dal Cardinale Bagnasco pochi giorni fa e riassumibile nell’auspicio che nella (relativa) pluralità delle scelte politiche, i cattolici convergano su alcuni “principi non negoziabili”. Mi ha fatto quindi particolarmente piacere vedere qualche ora fa gli esiti dell’indagine Demoplis – Famiglia Cristiana sul voto dei cattolici praticanti.


Ciò che mi colpisce in realtà non è il relativo maggior peso del Centro montiano tra i praticanti, eredità di un moderatismo che nel mondo cattolico ha una solida tradizione, ma la distribuzione del voto in misura assolutamente non residuale tra tutte le forze politiche in campo, anche in quelle che più difficilmente riceverebbero benedizioni dalle gerarchie. E ciò, ritengo, è assai sano.

Personalmente posso sentirmi più vicino all’uno o all’altro schieramento, posso ammirare determinati uomini della cultura, della politica e dell’impegno sociale e sentirmi lontano da altri. Mi sento disgustato dall’ateobigottismo (e da quella parte di mondo cattolico che ci va a patti per convenienza), ma non mi verrebbe invece mai in mente far coincidere la mia personale vicinanza politica all’uno o all’altro candidato con una sorta di patente (che tra l’altro mai sarei comunque titolato ad attribuire) dell’essere “più autenticamente cattolico” di altri.

Non ho la minima idea se a salire nei cieli più alti del Paradiso sarà – in un domani che auguro a tutti lontano – l’anima immortale di don Gallo o di Giovanardi, di Luigi Ciotti o di Formigoni, di Letta o di Bindi o, c’è posto per tutti, della Pivetti nella versione antica vandeana. Semmai, in qualità di reprobo e non dubitando della beatitudine di tutte le figure citate, posso dolermi in prospettiva della lontananza di alcuni e consolarmi – nella dannazione – che mi sia quantomeno risparmiata l’eterna vicinanza di altri, supplizio che considererei non degno della divina pietà.

Constato che vi sono persone che – sinceramente, per quanto posso sapere – si ispirano a proprie intime convinzioni religiose; ma il processo che porta da queste all’affermazione di un agire politico non è scontato. Per fare un esempio, l’angelicamente anarchico don Gallo esprime nei suoi libri una concezione della coppia e della famiglia profondamente radicata nel pensiero cattolico, ma, sempre da quanto scrive, mai auspicherebbe  di farne derivare prescrizioni di un qualche genere nell’amministrazione della cosa pubblica; altri traggono conclusioni diverse, fino al Giovanardi cui basta dire “omosessuale” per generare un profluvio di scempiaggini a vantaggio del giornalista cui, per richiamare una nota pubblicità, piace vincere facile.

Ed è bene che sia così, con buona pace dell’unità politica dei cattolici, fosse anche in versione light. È un bene che non esista il partito dei cattolici, i quali legittimamente possono avere idee anche radicalmente diverse su temi economici, politici e sociali; ci mancherebbe che l’opposizione dovesse fare i conti, oltre che con il fatto indubitabile che certe leggi le vuole l’Europa, con l’obiezione che esse sono desiderate pure dal Padreterno.

E, rispetto ai “principi non negoziabili”, è sano che vi possano essere sensibilità diverse su come dottrine e orientamenti fatti propri volontariamente da chi condivide una convinzione religiosa vadano poi tradotti in atti di governo della cosa pubblica, ove convivono fedi e culture diverse. In fondo è grazie a questo che, pur essendo un impasto un po’ sgradevole di scristianizzazione e bigottismo, rimaniamo comunque un Paese abbastanza libero e civile.

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