Famiglia

comunità in bancarotta: così i minori pagano la crisi

Strutture in ginocchio per i mancati pagamenti delle rette

di Redazione

I ritardi degli enti locali. Ma anche una grande confusione sul piano legislativo. La denuncia di Stefano Ricci dell’Osservatorio nazionale
per l’infanzia e l’adolescenzaVerona, Napoli, adesso anche Roma: le comunità di accoglienza per minori segnano la mappa della crisi del welfare rivolto all’infanzia. Alla spicciolata o con iniziative coordinate, con toni pacati o drammatici, esprimono tutte lo stesso disagio: i pagamenti in ritardo delle rette, da parte dei Comuni, minano alla radice la stabilità del servizio e l’esistenza stessa della struttura.
«La prospettiva è pessima», sostiene Stefano Ricci, membro dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. «La situazione delle comunità per minori in Italia è soggetta a legislazioni regionali fortemente eterogenee e ad una frequente mancanza di coordinamento degli interventi, che molte strutture rischiano di chiudere per i ritardi nei pagamenti, senza riuscire a fare massa critica, senza riuscire a scuotere l’opinione pubblica a livello nazionale».
In assenza di un Piano nazionale, mancano strategie e progettualità di lungo periodo. Le 15 città riservatarie dei fondi (sopravvissuti) della legge 285 stanno utilizzando queste risorse, che erano indirizzate a progetti innovativi, per “tappare i buchi” dell’emergenza. E l’emergenza c’è, se le comunità minacciano di lasciare per strada i loro ospiti o chiedono simbolicamente le risorse di altri settori, soprattutto le opere pubbliche, per risanare la loro crisi. «La legge dice che le rette vanno pagate e che la competenza dei pagamenti è dei Comuni», spiega Ricci. «Dunque, teoricamente, se la comunità dovesse far causa al proprio Comune per inadempienza nel pagamento delle rette, la vincerebbe. Salvo però “morire d’inedia” nell’attesa». Di fatto, in questo settore ogni Regione italiana ha un proprio modello organizzativo: alcune pagano direttamente le comunità, altre mettono una quota. Alcune hanno una normativa regionale e un tariffario, altre no. In una stessa regione, a seconda del livello di specializzazione dell’assistenza, le rette possono variare da 35 fino a 150 euro al giorno.
In questa confusione, «potrebbe essere utile avere un riferimento a livello nazionale per le tariffe», spiega Ricci. Il gruppo di lavoro dell’Osservatorio per l’infanzia sui servizi integrati, coordinato anche dallo stesso Ricci, aveva già iniziato a sviluppare anche questa prospettiva all’interno della bozza di Piano respinta dal sottosegretario Giovanardi. Ora, con l’Osservatorio in scadenza e il Piano in latitanza, non è difficile immaginare quanto ancora le comunità (ma soprattutto i 15.600 bambini e ragazzi che vi sono accolti) dovranno attendere prima di ritrovare un po’ di stabilità.


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