Non profit

Comunità dell’acqua

di Diego Galli

… il fiume scorre dunque è vita, il fiume ha la sua voce e io vado per ascoltarla… potrebbe continuare la sua storia nel bene e nella cattiva sorte. Possiamo noi fare qualcosa per lui? Mettendo o togliendo? Come vogliamo viverlo?
Testimonianza raccolta nell’ambito del progetto di mappatura di comunità della Valle del Simeto

L’essere umano è sempre stato attratto dall’acqua. Intorno a fiumi e oceani ha costruito gran parte delle sue città e stabilito i suoi primi insediamenti. Recenti studi sembrano dimostrare che l’attrazione verso l’acqua non sia soltanto la conseguenza evolutiva dell’adattamento all’ambiente (l’acqua come elemento per la sopravvivenza), ma sia legata anche al funzionamento del nostro cervello e alla sfera emotiva.

Questa invece è la storia dell’acqua come elemento di cittadinanza attiva nella provincia di Catania. Qui l’acqua è stato l’elemento che ha creato comunità, come è sempre avvenuto, ma anche occasione di riscatto contro alcuni mali storici di questa regione orientale della Sicilia.

Sono arrivato a Catania seguendo le tracce di Saul Alinsky. Pur essendo l’inventore del community organizing e il mentore di molti leader dei movimenti politici americani, tra i quali indirettamente rientra anche il presidente Obama, è un nome praticamente sconosciuto in Italia. Tra le eccezioni ci sono alcune docenti e ricercatrici dell’Università di Catania, come Laura Saija e Giusy Pappalardo.

Sono due studiose del Dipartimento di architettura, specializzate nella metodologia della ricerca azione partecipata, che hanno svolto parte della loro carriera negli Stati Uniti, ma hanno trovato ragioni per tornare e mettere le loro competenze a disposizione di un territorio che sembra saper legare a sé chi lo incontra sulla proprio strada. Si tratta della Valle del Simeto, che prende il nome da un fiume, il più grande della Sicilia, che nasce alle pendici dell’Etna, si incanala dentro spettacolari gole laviche, percorre il territorio di tre province, dieci comuni, una popolazione di 160.000 abitanti, e sfocia in mare a sud di Catania, sulla costa protetta dell’Oasi del Simeto.


Nonostante un paesaggio meraviglioso, la presenza di reperti archeologici e insediamenti umani di notevole interesse storico, un’economia in passato legata a prodotti agricoli di grande qualità come le arance rosse siciliane, il pistacchio di Bronte, mondorle, uliveti e vitigni pregiati, la valle ha subito un processo di deturpazione e inquinamento notevoli negli ultimi decenni.

Nel 2002, di fronte all’annuncio dell’allora presidente della Regione Raffaele Cuffaro di creare un inceneritore a pochi passi dal fiume, varie associazioni locali si mobilitarono dando vita all’Associazione Vivisimeto e riuscirono a bloccare il progetto. Ma il processo non si fermò lì. Complice l’amore per il fiume e l’apporto di leader civici di spessore, il coordinamento, invece di limitarsi al “no” e la protesta, ha continuato a reclutare nuove organizzazioni. Con la collaborazione di Laura Saija, Giusy Pappalardo e altri ricercatori è stata realizzata una mappatura di comunità. A seguito della quale le associazioni si sono date un obiettivo, l’istituzione di Patto di Fiume tra amministrazioni locali e cittadini. Sotto la spinta del Coordinamento, in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania, dieci amministrazioni pubbliche della Valle hanno firmato il Patto di Fiume Simeto come cornice valoriale e strategica per lo sviluppo locale per il periodo 2014-2020 (in corrispondenza con Europea Horizon 2020, e quindi stimolando le amministrazioni a utilizzare fondi europei che come sappiamo restano spesso inutilizzati al Sud ).

Il patto di fiume è un istituto giuridico e istituzionale molto innovativo. Leggendolo si ha l’impressione che questo luogo della Sicilia rappresenti un esperimento di avanguardia nella rigenerazione ambientale e lo sviluppo sostenibile. Unisce in un processo decisionale e di programmazione 10 diversi comuni, un’università e i cittadini riuniti nel Presidio partecipativo. Nel documento si parla di “pratiche di cittadinanza attiva volte alla cogestione responsabile e partecipata dell’intero territorio e dei suoi ecosistemi” di “rigenerazione ecologica”, di “pratiche dell’abitare ispirate all’obbiettivo di una ricucitura del rapporto tra uomo, società e ambiente” e di “iniziative volte al reinserimento nella comunità, da un punto di vista sia economico che socio-affettivo, degli individui che vivono forme variegate di esclusione”. I comuni facenti parte del Patto si sono impegnati a stipulare convenzioni “per la realizzazione di forme appropriate di gestione associata di funzioni e servizi”, potenzialmente fioriere di notevoli risparmi e maggiore efficienza. Sono stati creati laboratori partecipati per la progettazione degli interventi che hanno affrontato i problemi centrali della Valle, tra cui la perdita di competitività della produzione agricola (la metà delle aziende del territorio ha chiuso e rischia di farlo), il problema dello smaltimento dei rifiuti controllato dalla criminalità organizzata che gestisce diverse discariche abusive, lo scempio edilizio, il capolarato nelle campagne e l’elevata disoccupazione. Così sono stati elaborati dettagliati progetti riguardanti lo “sviluppo economico solidale e sostenibile nei settori integrati dell’agricoltura e acquacultura, bioedilizia, artigianato, turismo, produzione di energia da fonti rinnovabili”. A questi tavoli partecipati, a cui hanno preso parte ben 539 persone, collaborano tutti i settori della società. Gli amministratori rappresentano solo il 9% dei partecipanti, il 51% proviene dalle associazioni, il 18% sono rappresentanti dei settori produttivi, il 12% sono studenti e ricercatori. Il Patto si è infine candidato per la Strategia Nazionale Aree Interne creata dall’ex ministro Fabrizio Barca come “area sperimentale di rilevanza nazionale”.

Giusy Pappalardo ha dedicato alla Valle del Simeto la sua tesi di dottorato, e moltissime ore di lavoro volontario. Si è impegnata nel costruire le precondizioni affinché il Simeto fosse inserito nel programma Aree Interne, cosa che potrebbe portare risorse e riconoscimenti istituzionali. Nonostante questo continua ad essere una ricercatrice precaria, così come la vulcanica (di temperamento e luogo di nascita) Laura Saija, che è stata nel frattempo costretta ad emigrare negli Stati Uniti per poter proseguire la sua carriera accademica. La cosa che ha portata Giusy Pappalardo ad occuparsi della Valle del Simeto, mi spiega, è stato l’interesse per questo legame stretto che a un certo punto le è stato chiaro tra conservazione di un ambiente naturale e processi di partecipazione attiva della cittadinanza. Il fiume è il filo conduttore che lega insieme i suoi interessi e la sua ricerca in giro per il mondo. Anche negli Stati Uniti, infatti, si è occupata di un fiume, il Mississipi. Su una sua breve nota biografica che si trova online scrive di sè: “Amo la natura e mi sento libera quando attraverso gli spazi aperti. Mi sento profondamente connessa con gli ecosostemi d’acqua e fluviali, e fortemente motivata a proteggerli. Questi valori mi hanno portato a sperimentare approcci di Ricerca Azione Partecipata in contesti con criticità ambientali e sociali”.

Mi mette in contatto con Carmelo Caruso, un giovane scout poco più che ventenne che è il coordinatore del comitato civico “Paternò c’è, una rete di associazioni cittadine che raccoglie diverse parrocchie, gli scout dell’Agesci, le Comunità Evangeliche. Anche in questo caso l’acqua è stato il filo conduttore. Questo coordinamento è infatti il lascito dell’alleanza creata tra varie realtà all’epoca del referendum sull’acqua pubblica. Il comitato fa ovviamente parte del Presidio partecipativo del Simeto, ma svolge anche altre attività indirizzate alla rigenerazione urbana di Paternò, come ad esempio la riqualificazione di Piazza Nino la Russa, un esempio di abbandono e degrado urbano, per la quale hanno presentato un progetto a Boom – polmoni urbani, un concorso di idee che finanzia con 120.000 euro interventi di riqualificazione grazie a fondi messi a disposizione dai consiglieri regionali del Movimento5stelle attraverso l’autoriduzione dei propri stipendi.

Il presidio degli scout Agesci è invece in piazza Puglisi, un altro luogo dove vandalismo e spaccio la facevano da padroni. Il lavoro non è facile. Hanno provato a piantare degli alberi, ma glieli hanno tutti divelti. Poi hanno bruciato il container della Protezione civile che gli era stato messo a disposizione come sede. A fare questi atti di vandalismo sono spesso gli stessi compagni di classe dei ragazzi scout. Quando gli ho chiesto il perché mi ha dato una risposta così matura e profonda che stentavo a credere venisse da un ragazzo così giovane. Mi ha detto che quella piazza è un luogo abbandonato dalle istituzioni. A prendersela è stato un gruppo di ragazzi del quartiere che ha voluto imporre le sue leggi. Per loro esercitare il controllo su quel luogo è un modo di dimostrare come, nonostante l’abbandono pubblico, siano in grado di esercitare un potere sulle proprie vite e sul territorio in cui abitano. E ora che quel potere, per quanto opposto ma speculare rispetto all’incuria istituzionale, ce l’hanno e lo esercitano, non accettano che qualcuno lo possa intaccare. Lo vivono come un affronto. Ma Carmelo non sembra scoraggiato. Dopo l’incendio si è mobilitata tutta l’Agesci nazionale e hanno ricevuto solidarietà da organizzazioni come Libera. Di fronte a questi atti di intimidazione e vandalismo dimostra comprensione, ma anche tenacia. Occorre resistere, mi dice, con il tempo l’avremo vinta. Bisogna essere più tenaci del disfattismo e del dolore.

David Mascali lavora invece al laboratorio di fisica nucleare dell’Università di Catania. Aveva vinto un contratto a tempo indeterminato in Michigan ma ha rinunciato, dopo essere andato fino a lì per il colloquio, per restare in Sicilia. Nell’infanzia ha vissuto lontanto dalla sua terra natìa. Suo padre lavorava nell’edilizia specializzata e viaggiava spesso per lavoro. Poi a un certo punto decide di riportare la famiglia a Misterbianco, un comune della Valle del Simeto. Il ritorno, per un ragazzo vissuto in Val di Susa, fu scioccante. C’erano le siringhe per strada. Diversi consiglieri comunali uccisi. Era molto arrabbiato con il padre per averlo riportato in Sicilia. Poi, ad un tratto, quella rabbia si è trasformata in amore. Un po’ hanno contribuito le passeggiate in bicicletta sulle faglie dell’Etna e l’odore della vegetazione mediterranea che ci cresce. Poi è subentrata dentro di lui una sorta di “tenerezza”. La chiama proprio così, tenerezza, per questo popolo che ha sempre subito e che ha diritto al suo riscatto. Oggi David è uno dei due rappresentanti del Presidio partecipativo del Simeto nel Patto di fiume.

Mentre mi portano a visitare la Valle, passiamo accanto a un enorme centro commerciale, Etnapolis. Sorprende come le autorità pubbliche e l’archistar Fuksas non abbiano trovato di meglio da fare in un luogo come questo che costruire un ennesimo centro commerciale divenuto polo di attrazione per migliaia di persone che transitano in automobile indifferenti al territorio che li circonda. Che impatto avrà sul commercio al dettaglio in un territorio già segnato da altissima disoccupazione? Che impatto avrebbe avuto dirottare quegli investimenti su alcuni dei progetti elaborati dal Patto di Fiume, come il recupero della tradizionale pesca fluviale attraverso l’acquacultura, la diversificazione e valorizzazione della produzione agricola locale di qualità, la promozione turistica del comprensorio “Etna-Valle del Simeto” attraverso il recupero dell’identità territoriale, la promozione di interventi di riqualificazione bioedile di edifici di scarsa qualità, una strategia di raccolto dei rifiuti che punti al riciclo e riutilizzo degli scarti?

Intanto intorno all’acqua la comunità continua a raccogliersi. E come insegna il community organizing è rafforzando i legami nella comunità che i cittadini possono creare il potere necessario per agire ed essere ascoltati.

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