Non profit
Comunicare è essenziale
Occorre non sottrarsi più al confronto con la cultura dei media. Che è la più globale possibile. News, inchieste, ma anche sport, quiz e fiction.
di Paola Scarsi
?La comunicazione non è un lusso?: conoscere il sistema dei media ed essere parte dei suoi processi comunicativi sono aspetti importanti per lo sviluppo del terzo settore. Questa consapevolezza rappresenta una acquisizione culturale nuova, raggiunta faticosamente, che apre nuovi scenari sia all?interno, sia all?esterno delle organizzazioni del terzo settore, dei loro modelli organizzativi, delle loro reti di alleanze.
Studiare i processi di trasformazione dei media significa anche studiare noi stessi: il terzo settore è all?interno di dinamiche di consumo culturale che si stanno dilatando, il confine tra tempo libero e tempo di lavoro non è più così netto, la fruizione di tecnologie e new media (da quelle informatiche a quelle audiovisive) ci mette costantemente in rete, davanti ad un video capace di appagare i bisogni più vari: lavoro, informazione, svago, emozioni.
Il monitor di un pc o il video di una tv sono il passaporto per il mondo, per questo la portata sociale dei mezzi di comunicazione è tale da incidere sulla società in maniera sempre più determinante e ?la comunicazione non è un lusso?. L?invito è quello di crescere e di smetterla di trattare i temi della comunicazione soltanto in maniera strumentale, continuando a sottrarci al confronto con la cultura dei media. Che per definizione è la più globale possibile.
Cittadinanza comunicativa
Perché questa premessa? Perché comunicazione porta comunicazione e avvertiamo la necessità di aprire un profondo dibattito all?interno del terzo settore su questi temi. Con consapevolezza critica, cercando di superare le etichette (apocalittici o integrati?) culturali e ideologiche. Prima che altri settori della vita pubblica, legittimati a farlo dal ruolo istituzionale che ricoprono, lo facciano in nome e per conto della società civile. A dir la verità il dibattito è già avviato e si incrementa strada facendo: ad esempio, nell?edizione di quest?anno di Civitas (maggio, Padova) sono stati organizzati una dozzina di incontri pubblici sul tema della comunicazione. Il problema è che questo tema non è ancora del tutto metabolizzato dal terzo settore e avvertito, al proprio interno, come una delle grandi questioni, trasversale alle organizzazioni e associazioni.
Un tema che riguarda i diritti del cittadino, l?autonomo protagonismo della società civile, che da semplice fruitrice decide di diventare attrice, chiede una cittadinanza comunicativa che non si limita all?enunciazione del diritto astratto, ma acquista consapevolezza, chiede accesso, strumenti, opportunità concrete di gestione autonoma. Questo è il bisogno sociale nuovo che va intercettato e decodificato: cittadini in grado di partecipare da protagonisti ai processi comunicativi, da chiunque e comunque generati. Il rischio di una rete che si allarga senza porsi il problema di chi non partecipa alla rete è quello di creare nuove emarginazioni.
In questo contesto il terzo settore, nella sua accezione più profonda di cittadini autorganizzati, può essere attore del mutamento di regole, consuetudini, conformismi nel modo di fare comunicazione. Come? Proponendo nuove competenze comunicative sulla base delle quali negoziare spazi e strumenti. Proviamo ad essere più espliciti e caliamo queste affermazioni in una realtà concreta e attuale, ad esempio la Rai, vocata ad assolvere un ruolo pubblico. Il terzo settore in senso lato, se preferite ?il sociale? più o meno organizzato, è una risorsa perché, sempre per rimanere nell?esempio, potrebbe valorizzare nuove fasce orarie, potrebbe contribuire a innovare l?impaginazione dei Tg e a rivisitare alcune formule e generi oggettivamente superati, potrebbe sperimentare forme di interattività positive (che cosa posso fare io?) se sollecitato in maniera sensibile, potrebbe fornire contenuti e storie attualmente sottorappresentate. Contenuti della (e non sulla) vita quotidiana, esemplificativi del mutamento di consumi e tendenze, di emozioni e sentimenti, soprattutto nel mondo giovanile, dove maggiore è il rischio della deregolation di una esposizione passiva al video praticamente illimitata e non orientata da nessuno, né dalle agenzie formative, né dagli adulti. Inoltre dal terzo settore potrebbero venire concrete e inesauribili segnalazioni di situazioni, sulle quali costruire inchieste , approfondimenti e , perché no, intrattenimento.
Tv sociale ma allegra
Già, perché se è vero che una tv più sociale è una tv più di strada, non è altrettanto vero che una tv più sociale debba essere necessariamente una tv triste, austera, tetra, praticamente inguardabile. Sempre pper rimanere tra gli esempi: vi è mai capitato di guardare uno di quei girati in camera car (ricordo ancora Milleameriche di Barbato) dove situazioni drammatiche si alternano ad altre paradossali, allegre, comiche? E dove il contesto di denuncia sociale convive con la normalità – e la fatalità – della vita che scorre? Un telequiz, una fiction o una partita di calcio possono essere altrettanti contenitori di successo sui quali sperimentare una contaminazione intelligente. Proposte attente a stupire il pubblico e al tempo stesso incuriosirlo, informarlo, sostenerlo nel suo percorso di socializzazione, offrendogli strumenti di analisi, di critica, di selezione.
Un terzo settore avvertito sui temi della comunicazione è allo stesso tempo più attento ai rischi che corre un sistema mediale asfittico come il nostro, stravolto dai consumi televisivi, soffocato dal duopolio, vittima di improvvise impennate (prima per la tv, poi per internet) che non riesce (non vuole?) sedimentare una coscienza critica nei cittadini, rendendoli capaci di consumi consapevoli, orientandone la crescita senza modellarne a tutti i costi la coscienza.
Il contratto di servizio
Il tema merita approfondimenti e contributi di esperti, di scienziati della comunicazione, di operatori dei media, ma anche di cittadini, perché la loro voce è importante e perché in comunicazione ? così ci spiegano ? non c?è nulla di matematicamente certo o scontato. Il successo di un prodotto culturale deve far vibrare molte corde prima di dirsi davvero affermato, non tutto è prevedibile a tavolino.
Il terzo settore sta maturando questa consapevolezza, ma servono sedi, strumenti e meccanismi di funzionamento attraverso i quali poter incidere. In questo la Rai si è mostrata sensibile al sociale, costruendo una sede autonoma che da circa un anno e mezzo è al lavoro. Si tratta della Sede permanente di confronto istituita presso la sede Rai di Torino, nella quale dialogano una dozzina di dirigenti Rai a vario livello e altrettanti rappresentanti del sociale, dalle associazioni di terzo settore a quelle dei consumatori, con rappresentanze istituzionali dei ministeri pari opportunità e welfare. Di recente è stato prodotto un buon documento dal titolo Società e servizio pubblico della Rai (consultabile presso il sito www.rai.it) che si pone come cerniera tra il lavoro fatto e quello ancora da fare, in vista del rinnovo del Contratto di servizio tra Governo e Rai che il ministro Gasparri ha più volte annunciato di voler realizzare a breve, allo scadere istituzionale fissato per dicembre 2002. Un ?occasione importante per allargare il dibattito e per renderne partecipi i soggetti sociali interessati, soggetti che stanno maturando nuove competenze e sensibilità sul terreno della comunicazione e che intendono spendersi come soggetti autonomi e rappresentativi di proposte, istanze, nuovi bisogni che vengono dai cittadini.
di Ivano Maiorella e Paola Scarsi
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