Welfare

Comuni, – 1,8% la spesa sociale

I dati resi noti dalla ricerca di Spi-Cgil

di Redazione

Anno orribile per le politiche sociali.  I Comuni l’anno scorso hanno aumentato (e non di poco) tasse e tariffe, ma drasticamente ridotto gli investimenti, a cominciare da un consistente decremento della spesa per il welfare e per il sociale in senso stretto. Lo documenta una ricerca dello Spi-Cgil, presentata ieri. La ricerca ha condotto un’analisi dei bilanci di previsione dei Comuni italiani su un campione di 7.537 Comuni distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Più tasse

Le tasse sono passate da 355,5 euro a 418 euro pro-capite (maggior gettito derivante da tributi federalisti, da quello relativo all’addizionale Irpef e da quello riferito alla tassa sui rifiuti solidi urbani: a livello nazionale l’imposta sui redditi ha subito un aumento dell’11% mentre la Tarsu del 12%. L’Irpef ha subito aumenti maggiori a Roma (+82,5%), a Brindisi (+36,4%), a Bari (32%), a Napoli (15,6%) e a Firenze (15,2%). Casi limite quelli di Marsala, Carrara, Cremona, Lamezia Terme e Imola dove gli aumenti hanno superato il 100%.  Per quanto riguarda la Tarsu gli aumenti più sensibili si sono registrati nei Comuni capoluogo di provincia come Reggio Calabria (+64%), L’Aquila (+53%), Catania (35,4%).  Solo a Milano si è registrata una diminuzione pari al 4,3%.

Meno welfare

I costi della macchina burocratica assorbono il 60% delle risorse dei Comuni. Per il Welfare “allargato” (servizi sociali, cultura, istruzione sport e tempo libero) resta solo il 30% ed è una percentuale in calo, con uno stanziamento pari a 278 euro pro capite. Questa voce ha subito una flessione rispetto al 2010 dell’1% e una contrazione delle risorse pari a 252 milioni di euro, quantificabile in circa 4,2 euro per abitante.

Nel dettaglio nei Comuni del Centro Italia la spesa per il welfare è diminuita del -2,3% rappresentando il 30,6% della spesa totale. In quelli del sud, invece, la diminuzione è stata dallo 0,9% ma in questo caso rappresenta solo il 22,5%. Riduzioni meno sensibili si sono registrate al nord ovest (-0,6%) e al nord est (-0,2%).

Piccolo è meglio?

Anche per quanto riguarda la spesa corrente per il sociale in senso stretto (servizi in favore degli anziani, minori, diversamente abili, disagio sociale, ecc.), tra il 2010 ed il 2011 la quota pro capite diminuisce a livello nazionale dell’1,8%, scendendo da 152,7 euro per abitante a 149,9 euro, corrispondenti ad un taglio complessivo di circa 166,5 milioni di euro. La diminuzione è stata più forte nei Comuni del centro (-4,4%), in quelli del sud (-2,8%), in quelli che hanno tra i 20.000 e i 50.000 abitanti (-2,9%) e in quelli che superano i 50.000 abitanti (-3%), mentre risulta maggiormente contenuta negli enti al di sotto dei 5.000 residenti. Proprio i comuni più piccoli, al riparo dai nuovi vincoli introdotti dal Patto di Stabilità, riescono a mantenere stabile la spesa per gli interventi di welfare, assicurando nel 2011 stanziamenti procapite di quasi 1 punto percentuale più elevati rispetto al 2010.  Occorre considerare – precisa Spi Cgil – che, in un solo anno, i Fondi nazionali per gli interventi sociali hanno perduto circa il 63% delle risorse complessivamente stanziate dallo Stato.

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