Non profit

competitivo e un po’ spietato: il fundraising modello twitter

Nuove strategie per stimolare donazioni micro e macro

di Carlotta Jesi

Potenza dei social network: pensare a una frase avvincente, sintetizzarla in 140 caratteri e inviarla sui canali giusti: così negli Usa centinaia di associazioni hanno svoltato Obiettivo: convincere un filantropo che la vostra charity del cuore è la migliore che esiste. Strumenti a disposizione: 140 caratteri, spazi inclusi. Premio in palio: 100mila dollari per la non profit vincente, eterna fama nell’universo del social networking per l’attivista autore del miglior “twits”. È la filantropia ai tempi di Twitter, il servizio di microblogging che trasforma il chiedere e il donare denaro per una buona causa in una sfida all’insegna della creatività. E in cui vige un’unica regola: chi è passivo, è spacciato. Si tratti di un donatore privato, di un’azienda, di una charity in cerca di visibilità o di un attivista.
Prendete l’ormai classico sms solidale: digitare un numero dal cellulare è impersonale e banale come staccare un assegno. Vuoi mettere con un “twits” in cui devi, nell’ordine: pensare a una frase avvincente, sintetizzarla in 140 caratteri, scegliere sinonimi e acronimi di moda e inviarlo sui canali giusti? Hugh Jackman – l’attore australiano di X-Men, Codice: Swordfish e Kate & Leopold – è convinto che non ci sia gara. Sono suoi i 100mila dollari che, in aprile, hanno scatenato una gara di creatività filantropica su Twitter guadagnando l’attenzione del New York Times che ha seguito passo passo la gara finita con un ex aequo tra le non profit Operation for Hope e Charity Water. Ed è gara – adrenalinica, avvincente, interattiva e ad alto tasso di competitività – la parola chiave per comprendere in che modo il social networking, al tempo della crisi, è diventato la nuova frontiera del fundraising. Micro, in stile Obama, e macro, senza differenza.
Altri esempi? American Express dona su Facebook: con una gara, intitolata «Members Project», in cui sono i possessori di carte di credito a proporre e scegliere le non profit da aiutare con i soldi della corporate. Stessa cosa fanno Amazon, TripAdivisor e persino la fondazione GlobalGiving, arrivati a distribuire le loro donazioni non solo alle charity meglio “sponsorizzate” dagli utenti ma anche a quelle che, su Twitter e Facebook, catalizzano il maggior numero di microdonazioni. Che impatto avrà tutto questo sul terzo settore? L’unica indicazione chiara, dall’America, arriva sulla selezione del personale: che sia venuto il tempo di investire più sui creativi che sui fundraiser?

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