Non profit

Community assets, un tesoretto per far decollare la sussidiarietà

di Redazione

“Asset” è l’ennesimo vocabolo inglese salito alla ribalta con la crisi, spesso associato all’aggettivo “tossico”. Esistono asset fisici, come le proprietà immobiliari, ed anche asset umani, intellettuali e finanziari. Ma l’aspetto più interessante riguarda i possessori di questi beni. In genere il riferimento va alle imprese o alle pubbliche amministrazioni. Però anche le comunità, attraverso le loro espressioni organizzate quasi sempre di tipo non profit, sono proprietarie di importanti “asset strategici” per lo sviluppo del territorio. Il riferimento non va solo ai fattori immateriali – il capitale sociale, ad esempio, si potrebbe considerare un tipico asset comunitario – ma anche a beni materiali: case e terreni per capirci. Sui “community asset” fisici il governo inglese ha promosso una politica basata sulla restituzione e ridestinazione a nuove forme d’uso di strutture immobiliari da far gestire a organizzazioni “community-based”, investendoci oltre 33 milioni di euro. Anche in Italia molte organizzazioni non profit, soprattutto imprese sociali, sono impegnate in azioni di sviluppo che riguardano il rinnovamento di proprietà comunitarie di vario tipo: ex monasteri che diventano strutture per il turismo sociale, beni confiscati alla mafia che diventano comunità di accoglienza, antiche forme di gestione dei territori montani che ospitano iniziative di agricoltura sociale.
Si tratta di esperienze molto diverse e che, nella migliore tradizione del nostro paese, avanzano in ordine sparso. Ci sono però alcuni punti che meritano di essere approfonditi e sostenuti anche attraverso politiche pubbliche. In primo luogo perché si tratta di un “bacino” di risorse dall’enorme potenziale. Se solo si censissero, si scoprirebbe un vero e proprio “tesoretto” dei community assets. In secondo luogo perché affidarne la gestione alle comunità sarebbe un modo per fare davvero, e non solo a slogan, sussidiarietà. Infine perché è un campo di sfida per il non profit e per l’imprenditoria sociale. Avere a disposizione assets fisici consentirebbe alle organizzazioni sociali di riposizionarsi con maggiore centralità all’interno dei processi di pianificazione territoriale, anche per quanto riguarda la programmazione di servizi e standard urbanistici, favorendo l’integrazione delle politiche. Imbarcarsi in queste operazioni richiede notevoli competenze tecniche – programmazione di medio lungo termine, ideazione di nuove forme d’uso, sistemi di governance pluripartecipati ecc. – e capacità di accedere a importanti risorse (finanziarie ad esempio). Inoltre è un’efficace riscontro sul carattere realmente comunitario dei soggetti non profit, sia perché sono espressione dei legami sociali, ma soprattutto perché sono in grado di mobilitare e coalizzare le comunità in iniziative così importanti e complesse.

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